Spettacolo di danza di Veronika Riz
Musica di Johannes Maria Staud
Produzione TEMA
Coproduzione Fatima Musallam
Fondazione Haydn stiftung di Bolzano e Trento
Soggetto Marco Gnaccolini
Direttore Leonhard Garms
Orchestra di Bolzano e Trento
Solisti Marco Mandolini, violino; Mikel Rudolfsson, trombone
Danzatori: Telmo Branco, Yen Lee, Jan Lorys, Marcin Motyl, Anne-Lene Nöldner e Katja-Maria Taavitsainen
Spazio e luci Alberto Scordo
Costumi Dagmar Gruber
Video Giacomo Corvaia
Organizzazione Anna Lageder, Carmen Cian
Bolzano, ex Masten, 28 ottobre 2020
Trequanda è un luogo reale, fisicamente collocato tra le colline del Senese, defilato, raggiungibile percorrendo deviazioni su strade secondarie. Non ci passi per caso, devi sapere che esiste. In questo caso, è il nome di fantasia per un rifugio in alta montagna o piuttosto, come traspare nei video a corredo, un oasi rifugio per chi è alla ricerca di equilibri interiori, vista la struttura architettonicamente importante tra sale monumentali e antiche stube che accoglie i rifugiati. 6 persone vi rimangono intrappolate da una valanga, senza via di scampo o di risoluzione se non pensando e riflettendo un mondo migliore ponendosi domande esistenziali come potersi salvare e sopravvivere. Questo è in sostanza la trama di teatro danza, performance di arte contemporanea, messo in campo dalla ideatrice, la coreografa e regista bolzanina Veronika Riz con una lunga esperienza internazionale nell'ambito della danza contemporanea e della performance d'arte su un soggetto di Marco Gnaccolini che ha per oggetto le conseguenze del riscaldamento globale causato dalle azioni degli esseri umani. I sei sopravvissuti del Trequanda ne sono uno specchio, stritolati in un mondo che sta collassando sempre più, prova di essere quantomeno vicini a Dio per la capacità creativa di distruggerlo. Certamente poteva diventare un banale esercizio di stile su un argomento abbastanza inflazionato, ma la particolarità della realizzazione, ossia che le coreografie siano state costruite su musiche composte per l'occasione da Johannes Maria Staud, in una rigida chiave di modernità atonale e realizzate dal vivo dall'orchestra regionale di Bolzano e Trento diretta dal giovane Leonhard Garms, ne ha fatto uno dei principali motivi d'interesse e di attrazione. Rimandato dalla sua programmazione originaria nella programmazione 2020 del progetto Opera 20.21 della Fondazione Haydn Stiftung di Bolzano e Trento, causa la pandemia di primavera ed estate, ecco che approda in scena in un momento caotico di ripresa della malattia con i teatri e luoghi di spettacolo chiusi al pubblico nel resto di Italia e in Europa. Bolzano, per una scelta politica ha deciso di sfar sopravvivere ancora lo spettacolo dal vivo, fino a nuove disposizioni, recuperando questa produzione adesso gestita da un folto gruppo di sponsors pubblici e privati, coordinati da Anna Lageder e Carmen Ciani. Scelta audace anche la collocazione scenica, con gli spettatori ammessi (200) in un capannone dismesso di una fabbrica nella zona industriale della città allestito in maniera spartana ed essenziale, suddivisi tra una platea e una pedana rialzata con posti singoli ampiamente distanziati e con l'orchestra collocata su un soppalco prospicente lo spazio danza. In scena un unico oggetto un congelatore a banco che nel corso dell'azione disvelerà il suo contenuto: un cavolo verza. La narrazione coreografica si alterna tra azioni in scena e inserimenti di video che determinano un collegamento tra le varie sequenze coreografiche, pienamente sostenuta dalla composizione di Staud. Danza fatta di gesti corporei nervosi, movimenti rapidi tra le coppie, giochi di equilibrio fino allo spasmo ma tutto in una rapida sequenza a significare la difficoltà e la disperazione nell'impossibilità di uscire da quella situazione di isolamento e nel prendere coscienza che quanto sia successo: il disastro ambientale è la conseguenza diretta di un nostro comportamento. Il gioco della verza trovata nel frigorifero che passa di mano in mano in passaggi in stile rugby fino a sfogliarsi e a disfarsi è emblematico del disfacimento della la natura vittima della nostra incoscienza. Certamente la narrazione drammaturgica non sempre è comprensibile, anzi spesso e ripetitiva nelle sue azioni, frammentata che allentano la percezione delle sequenze coreografiche. Del resto i collaboratori provengono a vario titolo non dal teatro ma dalle arti performative, dalle installazione artistiche e dalla video art rispettivamente Alberto Scodro, designer di moda Dagmar Gruber, video artist Giacomo Corvaia, uno storyteller Marco Gnaccolini. Sullo schermo il prima, il presente e il poi della narrazione. Girati tra Sarentino e Renon, i video proiettati nel corso di Trequanda non spiegano, l'ambientazione geografica non è geolocalizzata ma parte integrante di una rilettura dell'ecologia in chiave territoriale; non esiste un qui ma un qualsiasi altro posto del pianeta dove gli attori, moderni santoni e custodi della natura compiono i loro riti; mentre sul palco va in scena la realtà con le sue nuvole di ghiaccio che svapora dal pavimento di scena. La musica di Staud definisce con le sue sonorità astratte questo universo umano dando spazio anche a momenti solistici affidati al violino, dal virtuosismo nervoso e stridulo di Marco Mandolini e al trombone rievocativo e marziale di Mikel Rudolfsson in momenti di solo ascolto o di sostegno all'azione coreografica. Pubblico partecipe che ha decretato in questa, come nella serata precedente di debutto, un successo convinto alla performance di Veronica Riz con numerose chiamate alla ribalta del complesso dei protagonisti, musici, danzatori, tecnici, evidenziando che a Bolzano il contemporaneo in ogni sua forma d'arte è ampiamente consolidato nei favori del pubblico.
Federica Fanizza