Roberto Calabretto ANTONIONI E LA MUSICA Marsilio, Venezia, Euro 20.00, pp. 206 Col suo "sguardo" d'etica laica tesa al massimo di obiettività, Michelangelo Antonioni contempla personaggi e situazioni, oggetti e paesaggi, come per auscultarne prolungamenti e riflussi, e sempre con quel fervore sperimentale per forme e linguaggi che è cosciente fascinazione e confronto-sfida con la tecnica dei materiali e loro pregnanza visivo-sonora. Su questo piano, ben diversamente dai consueti tematismi melodici d'accompagnamento, sentiva altrove la funzione musicale, momento di sonorità ambientale, "musica delle cose". In argomento, Roberto Calabretto minuziosamente ne mette a fuoco il rigore stilistico, a cominciare dalle pagine, talune diventate film, di Quel bowling sul Tevere, dove proprio "il vissuto dei protagonisti si trova riflesso in termini sonori", musiche ma anche passi, folate di vento, ondosità del mare, spari, botti, parole, silenzi che con le immagini suggeriscono "un'unica impressione sensoria". L'analisi si fa ancora più ermeneutica ripercorrendo soluzioni che Antonioni dà alla poetica sonora, di singolare calibratura nei primi documentari in collaborazione con Giovanni Fusco e poi anche magari servendosi di musiche di repertorio. Con i lungometraggi, da Cronaca di un amore sino a Il grido, ma anche più in là da L'avventura a Il deserto rosso (a parte La notte), Fusco diventa l'alter-ego antonioniano con suggerimenti timbrici di singoli strumenti, sassofono, pianoforte, chitarra, o piccoli complessi, sempre con una "de-drammatizzazione della musica" e " rilievo inusuale" della sonorità naturale. Solo con la Swinging London di Blow up e l'America di Professione reporter, talora subliminalmente, Antonioni sfrutterà anche registri sonori a livello diegetico e con i due ultimi film ricorrerà a modalità musicali di "generi, stili e artisti i più disparati".
Alberto Pesce
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