Stefano Duranti Poccetti PER UNA NUOVA COMMEDIA DELL'ARTE Editore: Akkuaria pag. 117 € 10.40 (TEATRO - Giuseppe Manfridi)
Un manifesto teatrale! Per andare a dei precedenti bisogna risalire a Brecht e a Pasolini, o desumerli dalle teorizzazioni di Artaud e di Grotowski messe a base del loro teatro realizzato de facto. Stefano Durante Poccetti con i suoi atti unici ‘a scena fissa’ raccolti nel volume Per una Nuova Commedia dell’Arte, a seguito di una breve premessa chiarificatrice, dà immediata effettuazione scenica alla poetica che deriva dall’intento di riproporre una drammaturgia di antica tradizione italiana e che da tempo è oggetto di studio ma non più di utilizzo concreto, come invece qui ci si propone di fare. Il titolo lo dice: è l’universo multiforme e pirotecnico della Commedia dell’Arte che è chiamato a un rinnovato ingresso nella contemporaneità attraverso questi copioni offerti a illustrazione e anticipo di tanti altri che potrebbero aggiungersi replicando, dall’uno all’altro, un nugolo di personaggi assunti a maschere della nostra attualità così come, secoli addietro, seppero fare quelle utilizzate dagli zanni e dai cerretani interpreti di un teatro tanto vitale quanto popolare, e che (ma quasi più con fare da archeologo) Dario Fo ha messo a fulcro di tanti suoi spettacoli. Nella fattispecie, la volontà è un’altra. Meno propedeutica e addirittura più innovativa. Per cominciare, le maschere rigenerate dell’autore assumono inedite forme già a partire dalla loro onomastica, tale per cui i vari ‘tipi’ messi in gioco appaiono da subito cristallizzati nell’espressione che li definisce. Abbiamo perciò (volendone citare alcuni) lo Psicologo Spione, l’Uomo Vicino al Suicidio, il Politico Corrotto, il Mafioso Caduto in Fallimento, il Signor Va Male, il Signor Va bene, il Notaio Napoletano… un appello già di per sé comico, e, al contempo, sinistro, dacché ogni personaggio ci si presenta da subito costretto a essere non altrimenti da come viene stigmatizzato. Il suo destino, infatti, appare in tal modo iscritto a cifra ineludibile sin dal modo in cui quel dato carattere viene chiamato. Ma vi sono anche figure che si portano appresso un antico curriculum di creature altrui, come Figaro o Lazzarino. E, fra tutti costoro, addirittura si intrufola, retaggio e garanzia della fonte primaria da cui questa drammaturgia proviene, lo stesso Arlecchino che nel più ampio dei quattro testi, Città Comica, Città Tragica, compare sotto finale con tutta l’efficacia di un Deus ex machina a dirimere una girandola forsennata di eventi, per poi scoprire che, nel testo successivo, La Vendetta di Lazzarino, il Deus Ex Machina (anche le ribadite maiuscole stanno a significare l’apodittica esemplarità dei nomi/parola) interviene smaccatamente annunciato così: da un’espressione tradizionalmente usata per significare lo snodo narrativo di un intreccio che si è fatto tanto complicato da poter essere sciolto solo da un’ingerenza sin quasi ultraterrena. Ho parlato di copioni. Di questo si tratta, assai più che di commedie nel senso usuale del termine. La scaltrezza dell’autore è proprio quella di sottoporre alla nostra attenzione pagine che, pur definite con assoluta precisione redazionale, hanno tutta la fragranza del canovaccio da cui si presume derivino. Intendo dire che ciascuno dei testi lo si direbbe, all’apparenza, il risultato di un’improvvisazione corale, mentre, in realtà, è frutto di un’immaginazione singola, tuttavia capace di dar vita a un carosello dai ritmi altissimi, sin quasi elettrici. Tutto qui dentro è molto comico, e di una comicità plurima: quella, appunto, tipica del Teatro dell’Arte, ma a cui si aggiunge la comicità più aggiornata del teatro dell’Assurdo, e allora, tra gli altri, vengono in mente i nomi di Ionesco e di Tardieu. Basti pensare al personaggio che in un ‘a parte’ fa sapere al pubblico di non avere nessun ‘a parte’ da dire. Quindi, i temi. Anzi, ‘il’ tema che, a mio avviso, impera su tutti: quello della predazione. E, in particolare, della predazione sociale, per cui, data per intesa una distinzione netta tra buoni e cattivi, il consorzio umano è di conseguenza brutalmente scisso tra vittime e carnefici, e la convulsione dell’inseguire e del fuggire è tradotta dalla macchina scenica in una giostra che adduce a un balletto vivido sì, ma intriso di una segreta nerezza. Coi testi, infine, vanno segnalate le immagini che Duranti Poccetti ha voluto inserire nel libro per darci un’idea di quella specie tutta teatrale, e affatto umana, che i suoi spassosissimi ma anche temibili atti unici ci donano invitandoci a una festa a rischio di rivelarsi un agguato fatale in ragione di tutta la forza aggressiva che può essere contenuta in una poderosa risata.
Giuseppe Manfridi
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