Opera in quattro atti
Libretto di Arturo Colautti,
dal dramma di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé Adrienne Lecouvreur
Musica di Francesco Cilea
Direttore Massimiliano Stefanelli
Regia, scene e costumi Ivan Stefanutti
Luci Paolo Mazzon
Movimenti mimici Michele Cosentino
Personaggi e interpreti
Adriana Lecouvreur Hui He
Maurizio Fabio Armiliato
Il principe di Bouillon Alessandro Abis
La principessa di Bouillon Carmen Topciu
Michonnet Alberto Mastromarino
L'abate di Chazeuil Roberto Covatta
Poisson Klodian Kacani
Quinault Massimiliano Catellani
Mad.lla Jouvenot Cristin Arsenova
Mad.lla Dangeville Lorrie Garcia
ORCHESTRA, CORO E TECNICI DELL'ARENA DI VERONA
Maestro del Coro Vito Lombardi
Direttore Allestimenti scenici Michele Olcese
Allestimento dell'Associazione Lirica Concertistica Italiana (As.Li.Co.)
Costumi Atelier Nicolao S.R.L. — Venezia
Verona Teatro Filarmonico giovedì 4 aprile 2019 (altre date 31/3; 2/4; 7/4)
Dato di fatto: uno dei più importanti enti lirici di produzione si deve affidare al soccorso della provincia lirica italiana per allestire, in tutta sicurezza e affidabilità, un titolo che sta rischiando di uscire dal grande repertorio. E quello che si è visto in questa stagione lirica al Filarmonico di Verona con la messa in scena di Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea nell'allestimento di Ivan Stefanutti, che risale al 2002 per il teatro di Como, presentato a Firenze nel 2010 e riproposto nel circuito As.Li.Co 2014, ma visto anche in Giappone e Las Palmas.
Adriana Lecouvreur, all'anagrafe Adrienne Couvreur (1692–1730) è un personaggio realmente esistito. Attrice primadonna della Comédie-Française nei primi decenni del'700, primeggiando nei drammi di Racine fa proprio un nuovo stile recitativo impostato sulla naturalezza espressiva e sul realismo dei sentimenti. Così la descrive Voltaire in una memoria a lei dedicata. "Qui, signori, sento che i vostri rimpianti chiedono quell'attrice inimitabile che aveva l'arte di parlare al cuore e di mettere del sentimento e della verità dove prima non c'erano che enfasi e declamazione... (1730)" Misteriose le cause della sua morte come le modalità della sepoltura. "Questa storia si ispira a fatti realmente accaduti". Sapere che le vicende sulla scena, per quanto assurde possano sembrare, hanno un fondamento in una realtà più o meno remota, innesca subito un meccanismo di partecipazione emotiva differente: non assistiamo più a un'opera di fantasia, ma a una storia vera, autentica. Ernest Legouvè e Eugène Scribe le dedicarono un dramma rappresentato nel 1849 per l'attrice principale della Comédie-Française parigina Elisabeth Rachel Felix che primeggiava proprio nei ruoli che furono della Lecouvreur, ma fu Sarah Bernhardt a indentificarsi totalmente in Adrienne sia scena, nel 1908 che in pellicola, nel 1913. E furono, questi anni di inizio '900, del trionfo del Liberty, dell'Ecclettismo, delle Dive in palco e dell'alba del cinema. Nel teatro classico stavano per affacciarsi nuovi nomi come Eleonora Duse, Francesca Bertini e Lyda Borelli: "umili ancelle" a servizio del teatro e del nascente cinema che vissero esse stesse il personaggio dell'attrice diva della Comédie-Française del '700. Nell'ambito italiano fu la nostra diva Lyda Borelli, che debuttò in teatro nel 1902 come proprio come Adriana Lecouvreur. Il compositore Francesco Cilea (1866) si innamorò del personaggio che in Italia assunse le fattezze di Eleonora Duse, rivale sulle scene proprio di Sarah Bernhardt. Arturo Colautti gli fornì il libretto; il compositore impiega tre anni per le musiche e finalmente al Milano, al Teatro Lirico (destinato a ospitare i lavori della "Giovane scuola" dell'opera italiana) il 6 novembre 1902 Adriana Lecouvreur debuttò trionfalmente. Jules Massenet si congratula con Cilea "amo la vostra musica; la vostra orchestrazione è così pulita, così espressiva, così cangiante; quel sentimento pittoresco accanto all'espressione drammatica!" parole che fanno da contrasto alla laconicità pucciniana: "voglia gradire i miei rallegramenti sinceri per il bel successo ottenuto coll'Adriana" Immediatamente fece il giro del mondo, approdando nel 1907 al Metropolitan con protagonista Lina Cavalieri, diva già lei stessa. Stefanutti, suo l'impianto scenico fisso con ampi riferimenti allo stile floreale, che gioca sul contrasto tra nero, bianco e ambra, colloca il libretto in una ambientazione di inizio '900, trionfo del Liberty e delle Dive del cinema muto, in una atmosfera sospesa tra Verismo e Decadentismo dannunziano, compreso l'azione coreografica del Giudizio di Paride citazione de L'après-midi d'un faune di Diaghilev e Léon Bakst. Sono gli stessi anni che videro la nascita dell'opera, in cui a dominare erano personaggi tormentati, dalle caratteristiche "divine" e dai grandi gesti, come la grande Lyda Borelli, omaggiata apertamente dal regista nel finale, con un grande ritratto. E' un'opera che ha bisogno essenzialmente di attori: pathos e teatralità necessitano agli interpreti affinché l'opera faccia breccia nel pubblico che la riconosce per quei momenti in cui la protagonista non gioca a far l'attrice ma interpreta se stessa, "Io son l'umil ancella" e "Poveri fiori". Qui a Verona la resa musicale si è dimostrata sottodimensionato a quanto l'opera richiede, causa una direzione di Massimiliano Stefanelli, superficiale, che non ha tenuto conto dei riferimenti musicali pieni di delicatezze armoniche e di sfumature strumentali che l'avvicinano più a certe trasparenze dell'impressionismo francese anzi, non contenendo il suono dei fiati, eccedendo in sonorità massicce da sfiorare citazioni wagneriane coprendo così la resa delle voci del palcoscenico. Protagonista il soprano cinese Hui He, beniamina del pubblico veronese, al debutto nel ruolo: possiede buoni mezzi vocali, ma le sfuggono completamente le frasi "recitate", importantissime per lo svolgersi dell'azione, come pure una più illuminante definizione del personaggio; che manca di forza, risultando dunque poco coinvolgente. Al suo fianco il Maurizio di Sassonia di Fabio Armiliato, l'ombra di quell'artista che fu qualche anno fa, con voce che finisce in gola perdendo completamente smalto senza espandersi anche nei momenti più liricamente espressivi come l'aria "La dolcissima effigie", complessivamente impalato nella voce e nei gesti anche da una regia che non ha lavorato sui ruolii, lasciandoli soli. Se Adriana è la protagonista, suo alter ego è Michonet, direttore della Comedie, funzionale testimone oculare del suo essere attrice, qui affidato ad Alberto Mastromarino. Imbarazzante la sua prova, non tanto come resa del personaggio sempre dietro le quinte, ma per la resa vocale che non è sembrata appropriata. Chiaramente Michonnet richiede più recitazione che piena estensione vocale, ma da questo affermato baritono avremmo preferito una voce più impostata e meno "nasale", come è stata invece. Tuttavia ha risolto il ruolo con professionalità ed in "Ecco il monologo" è stato un buon interprete. Più riuscita l'interpretazione della principessa di Bouillon fatta da Carmen Topciu imponendosi sia nella sua scena "Acerba voluttà" che nel duetto / duello con Adriana reso con accesi accenti, oltre agli interventi amorosi con Maurizio. Interessante è stato il petulante Abate di Chazeuil di Roberto Covatta con una bella linea di canto leggera e impostata. Per il resto cast, opaco il principe di Bouillon di Alessandro Abis, funzionali allo scorrere del dramma, il Poisson di Klodian Kacani, Quinault di Massimiliano Catellani con Mad.lla Jouvenot di Cristin Arsenova e Mad.lla Dangeville di Lorrie Garcia
Il pubblico presente ad una infrasettimanale, piena la platea ma ampi vuoti nelle gallerie, ha sostenuto calorosamente i suoi beniamini areniani.
Federica Fanizza