Musica Sergej Prokof'ev
Opera in cinque atti e sette quadri
Libretto del compositore da un romanzo di Valerij Brjusov
Prima esecuzione in forma di concerto
Parigi, Théâtre des Champs-Elysées, 25 novembre 1954
Direttore Alejo Pérez
Regia Emma Dante
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE Carmine Maringola
COSTUMI Vanessa Sannino
MOVIMENTI COREOGRAFICI Manuela Lo Sicco
LUCI Cristian Zucaro
MAESTRO D'ARMI Sandro Maria Campagna
PRINCIPALI INTERPRETI
RUPRECHT Leigh Melrose
RENATA Ewa Vesin / Elena Popovskaya
PADRONA DELLA LOCANDA Anna Victorova
INDOVINA Mairam Sokolova
AGRIPPA DI NETTESHEIM Sergey Radchenko
JOHANN FAUST Andrii Ganchuk
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MEFISTOFELE Maxim Paster
MADRE SUPERIORA Mairam Sokolova
INQUISITORE Goran Jurić
JAKOB GLOCK Domingo Pellicola
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MATHIAS WISSMAN Petr Sokolov
MEDICO Murat Can Guvem
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SERVO Andrii Ganchuk
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PADRONE DELLA TAVERNA Timofei Baranov
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I GIOVANE MONACA Arianna Morelli / Carolina Varela
II GIOVANE MONACA Emanuela Luchetti / Silvia Pasini
* dal progetto "Fabbrica" Young Artist Program del Teatro dell'Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Nuovo allestimento
Teatro dell'Opera di Roma dal 23 maggio al 1 giugno 2019
Difficile è giungere alla conoscenza. Quella forma di saggezza grazie alla quale i segreti scompaiono e fra l'uomo e il mondo ogni distinzione si annulla. Il tutto venendo a coincidere, manifestandosi in forma di estasi. Di questo parla L'angelo di fuoco.
Prokof'ev compose un'opera estrema. Allucinata, piena di visioni. Nella quale trasfuse tutti gli elementi appresi dalle avanguardie russe del Novecento. Periodo non di rifiuto dei tempi andati. Ma, al contrario, d'una loro totale assimilazione per creare qualcosa che non fosse puro estetismo, linguaggi poetici usati in modo sciatto e banale. Grazie al classico, si può guardare l'orizzonte più da vicino, per raggiungerlo e proiettarsi nell'infinito. La protagonista dell'opera di Prokof'ev simboleggia tale propensione.
Fin da bambina, Renata è posseduta da visioni che la tormentano. Tutte hanno l'immagine di un angelo, Madiel, il cui compito è di condurla verso la santità. Lei se ne innamora, e la creatura si tramuta in una colonna di fuoco. Mai però Renata smetterà di cercarla. E lo farà giungendo all'estremo del suo destino: venire condannata a morte per aver intrattenuto – questa l'accusa – rapporti carnali con il demonio.
Per rafforzare la tensione e la trasmutazione dell'uomo che brama la sapienza vera, Prokof'ev ambienta la vicenda nella Germania del Cinquecento, ai tempi della Sacra Inquisizione. Personaggio opposto a Renata, particolarmente nello spirito, è Ruprecht: dedito ai piaceri del corpo, razionale e il cui viaggio verso la conoscenza – per aiutare Renata nella sua ricerca – finisce per divenire mera erudizione. Nulla di ciò che apprenderà potrà trasmutarlo, facendogli compiere quello che Jung definiva processo di individuazione.
Arde il puro conoscitore per essere un liberato in vita. Ciò che diviene Renata mercé il rogo cui è condannata. Perché, come sostiene Elémire Zolla, il liberato "si affida a un maestro e nel rapporto con lui brucia senza residui ogni altro vincolo. Quando anche il suo discepolato è venuto a termine, domina in lui uno spirito impassibile. La sua natura non si fonda sulla sua intelligenza, nella quale pure si riflette, essa è direttamente quella del cosmo intero".
Nella regia di Emma Dante, questo sostrato viene meno. Ella ha sottratto all'Angelo di fuoco ogni simbologia. Tutto diviene carnale, fisico. Non v'è elemento che faccia intravedere uno spiraglio metafisico. La vicenda di Renata diviene condizione mentale di nevrosi che la scenografia rende riproducendo le palermitane Catacombe dei Cappuccini. E la tensione della protagonista verso la sapienza, si traduce nell'ormai stinta lotta fra il bene e il male, angeli contro demoni.
Ma questa schizofrenia, questo "desiderio dei sensi, preda di conflitti tra ragione e alienazione" è distante da quanto Prokof'ev intendeva esprimere col suo Angelo. Creatura che, afferma Massimo Cacciari, "testimonia il mistero in quanto mistero, trasmette l'invisibile in quanto invisibile, [e] non lo 'tradisce' per i sensi".
Pierluigi Pietricola