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ARIODANTE - regia Torsten Fischer

"Ariodante" regia Torsten Fischer. Foto Clarissa Lapolla "Ariodante" regia Torsten Fischer. Foto Clarissa Lapolla

Musica di Georg Friedrich Händel
Dramma per musica in tre atti
Libretto anonimo ispirato ad Antonio Salvi, da “Orlando Furioso” di Lodovico Ariosto
Nuova edizione critica a cura di Bernardo Ticci per il Festival della Valle d’Itria
Direttore Federico Maria Sardelli
Regia Torsten Fischer
Scene Herbert Schäfer
Costumi Vasilis Triantafillopoulos
Light Design Pietro Sperduti 
Ariodante Cecilia Molinari
Polinesso Teresa Iervolino
Ginevra Francesca Lombardi Mazzulli
Dalinda Theodora Raftis
Lurcanio Manuel Amati
Re di Scozia Biagio Pizzuti
Odoardo Manuel Caputo
Orchestra Barocca Modo Antiquo
Martina Franca, Teatro Verdi, 29 luglio 2024
50° Festival della Valle d'Itria

www.Sipario.it, 9 agosto 2024

Se si volesse ricordare questa edizione del festival della Valle d'Itria per qualche spettacolo lo meriterebbe senza alcun dubbio l'Ariodante di Georg Friedrich Händel (1735) con la direzione di Federico Maria Sardelli e per la regia di Torsten Fischer. Assente dai teatri e festival italiani da oltre dieci anni “l’Ariodante – ha ricordato Federico Maria Sardelli – rappresenta l’Händel della piena maturità". Qui viene per quest’occasione proposto nella nuova edizione critica a cura di Bernardo Ticci per il Festival della Valle d’Itria e affidato all’ensemble barocco Modo Antiquo diretto dal suo fondatore Federico Maria Sardelli, al terzo e ultimo anno di residenza artistica al festival. Una produzione che si affida anche ad un solido ed omogeneo cast di giovani ma affermati cantanti nei diversi ruoli principali alcuni fra i migliori interpreti specializzati in questo repertorio: Cecilia Molinari (Ariodante), Teresa Iervolino (Polinesso), Francesca Lombardi Mazzulli (Ginevra), Biagio Pizzuti (Re di Scozia), Theodora Raftis (Dalinda), Manuel Amati (Lurcanio), Manuel Caputo (Odoardo). Risultato: un perfetto equilibrio tra riuscita musicale e ambientazione registica, che pur nella sua dimensione moderna e astratta, ha saputo esaltare le relazioni tra i vari personaggi cosa non semplice nelle complicate vicende delle trame barocche. L’opera, su adattamento anonimo di un testo di Antonio Salvi, Ginevra Principessa di Scozia (1708), è ispirata a un episodio dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, il grande poeta di cui ricorrono quest’anno i 550 anni della nascita. Debuttò l’8 gennaio 1735 al Covent Garden di Londra a inaugurazione della prima stagione operistica tenuta in quel teatro, senza grande successo. Dopo poche repliche e tre mesi di permanenza in cartellone, non conobbe riprese. Dovettero passare quasi due secoli per vedere rinascere Ariodante, con la prima ripresa moderna a Stoccarda nel 1926 cui seguirono altre produzioni internazionali che rimisero in repertorio l’opera. Interessante che Nino Rota nel 1942 ne fece un riadattamento con Mario del Monaco come protagonista con Gianandrea Gavazzeni direttore. Oggi è celebrata tra i maggiori capolavori di Händel particolarmente ricca di melodie cantabili, passaggi virtuosistici che inquadrano e codificato le sequenze dei recitativi e delle arie. La trama è incentrata sulla vicenda del principe Ariodante e della sua promessa sposa Ginevra, figlia del re di Scozia. Per mezzo di un elaborato raggiro e con la complicità di Dalinda, dama di compagnia di Ginevra, Polinesso riesce nell’intento di far credere ad Ariodante di godere anch’egli dei favori della principessa. Ariodante, sentitosi tradito fugge, che è stato visto gettarsi da una scogliera, viene creduto morto, mentre Ginevra viene condannata a morte dal re, suo padre, a causa delle calunnie sulla sua supposta immoralità. Polinesso, tuttavia, ferito a morte in un duello da Lurcanio fratello di Ariodante, confessa il suo raggiro prima di spirare; Ariodante e Ginevra possono finalmente unirsi in matrimonio. Una trama intricata e complessa, con virtù offese e poi riconosciute, malvagità punita e trionfo dell’onore per un’opera che si chiude con l’esaltazione dei più nobili sentimenti, una vera e propria commedia umana dove i veri protagonisti sono i personaggi piuttosto che mondi fantastici e paesaggi magici che siamo abituati a ritrovare in gran parte dei soggetti barocchi. La parte che dà il titolo all’opera fu scritta per il castrato Giovanni Carestini, ma Sardelli ha ribadito nel libretto di sala che affidarsi oggi ai falsettisti, che all’epoca venivano utilizzati solo nella musica sacra e in forma polifonica, è un falso storico. Molto più corretto è allora utilizzare le voci femminili “en travesti”. e così la scelta del protagonista è caduta sul mezzosoprano Cecilia Molinari che dai ruoli mozartiani e rossiniani sta transitando verso il repertorio barocco, proprio per quelle caratteristiche sue vocali di voce squillante ma pastosa del registro mezzosopranile nel contempo calda e capace di espandersi  anche nella zona acuta ma soprattutto di padroneggiare i virtuosismi vocali che caratterizzano la sua parte, di saper risolvere fioriture e cadenze con intensità interpretativa, oltre ad imporsi per una sensibilità interpretativa molto dettagliata. A dimostrazione delle sue qualità vocali e di interprete è stata la vivace e fantasmagoria vocale nell’aria “Con l’ali di costanza”, come raffinata e virtuosa nella risolutiva aria di tempesta a gran richiesta bissata “Dopo notte atra, e funesta”: per lei, a scena aperta e in chiusa, un’esplosione speciale e meritatissima di applausi. Successo meritato per tutto il collettivo musicale magistralmente guidato da Francesco Maria Sardelli e dal complesso Modo Antiquo impostato su strumenti originali. Il direttore ci tiene ad evidenziare sull'uso del basso continuo definito da un organico originale senza moltiplicazioni di effetti timbrici e strumentali che non erano più in uso in quel periodo compositivo, un manifesto da parte del direttore di un preciso procedere nell'approccio filologico dell'interpretazione barocca. La sua conduzione lineare ha evitato eccessi ritmici e improvvisi cambi di tempi e accelerazioni, rimanendo su una interpretazione che tenesse presente anche la struttura compositiva polifonica del compositore tedesco, dando modo anche ai cantanti di prestare attenzione alla cantabilità stessa dell'complesso dell'opera. Successo pieno condiviso con un cast che comprendeva l’ottima Ginevra del soprano Francesca Lombardi Mazzulli, che si è imposta per espressività, con una linea interpretativa ricca sfumature dolenti. Il mezzosoprano Teresa Iervolino, con il viso marcatamente truccato da "cattivo"con la sua sonorità contraltile potente ha dato voce alla parte del malvagio Polinesso, scritto originariamente per contralto “en travesti” e espletando con sicurezza e musicalità i momenti di agilità e i passaggi di recitativo. Notevole il soprano Theodora Raftis, Dalinda, che con voce corretta e ben impostata ha saputo farsi personaggio di raccordo tra i vari attori. Nella parte del re di Scozia si è imposto Biagio Pizzuti, che ha immesso nel ruolo le sue esperienze di voce piena di morbidezze e lirica praticata nel repertorio ottocentesco. Interessante anche la prova del giovane tenore Manuel Amati nei panni di Lurcanio che, nelle sue arie, ha dato prova di capacità di risolvere i fraseggi lirici come alcuni passaggi arditi. Valido il tenore Manuel Caputo nelle vesti di Odoardo. Ha contribuito al buon esito della produzione anche la regia minimalista e moderna del regista tedesco Torsten Fischer, principalmente regista teatrale di prosa. Lui stesso ha definito l'opera nella presentazione come una sorta di viaggio emotivo fra i personaggi, attraverso una lettura moderna in cui Ariodante si rivolge al pubblico d’oggi: “Volubilità dell’amore, brama di potere, intrighi diabolici e di tradimento, di amore cieco… Attraverso la musica celeste di Händel viviamo un viaggio fra i mondi emotivi dei sentimenti umani – ha spiegato Fischer –. Ho cercato di tirare fuori la parte più pura dei personaggi e tutte le possibili sfaccettature dell’essere umano. Lo spettatore può ritrovarsi in questa storia come in uno specchio che riflette la vita dei nostri giorni. Senza distinzione di genere: non è importante essere uomo o donna, ma essere umano”.

E questo annuncio è stato ampiamente realizzato, lavorando di sottrazione con la messa in evidenza dell' esasperazione gestuale tra i personaggi, vestiti di nero, in un ambiente fortemente contrastato con il bianco delle cornici sceniche fisse con praticabili realizzata da Herbert Schäfer. Pochi i riferimenti iconici: all’inizio l'immagine che si ispirava a Le carezze, dipinto del pittore belga Fernand Khnopff del 1896 più noto come La sfinge, come la grande luna a emblema ariostesco della riconquista di un senno perduto nella follia d’amore nell'aria da solista di Ariodante. Neri gli abiti dei personaggi, il frack per uomini tra Ottocento/Novecento con relative camice bianche e accessori, ampi vestiti neri per le donne escluso l'abito nunziale bianco, definiti dal costumista Vasilis Triantafillopoulos.

Un finale tutto a sorpresa e festoso nel concertato finale Sa trionfar ognor virtute in ogni cor, cantato dagli interpreti giù dal palcoscenico, fra orchestra a livello di sala e la prima fila di platea tra gli entusiasti applausi e ovazioni del pubblico presente che ha riempito il raccolto teatro cittadino Verdi di Martina Franca nel definire un successo per un Ariodante che certamente verrà ricordato come una delle migliori realizzazioni di questa fase di storia del festival.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Sabato, 10 Agosto 2024 08:13

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