dramma comico in due atti di Gioachino Rossini
libretto di Cesare Sterbini
regia, scene e costumi: Hugo De Ana
direttore: Claudio Scimone, movimenti coreografici: Leda Lojodice
con Annick Massis, Francesco Meli, Leo Nucci, Bruno De Simone, Orlin Anastassov
orchestra e coro dell’Arena di Verona
Verona, Arena, dal 14 luglio al 30 agosto 2007
Balletti, gag e astrattismo
Il Barbiere è una festa
Siete invitati alla festa del Barbiere di Siviglia. Si svolge nell'arena di Verona. Avete ancora otto date, un posto lo si riesce a trovare, perché si va a colpi di 15.000 persone per recita o forse più. Se ci andate, potete allegramente partecipare a un rito internazionale intriso di tradizione italiana, e avvertire come i piaceri del bel canto e delle immagini esplosive nello spazio, della recitazione comica e dell'intelligenza musicale possano trascinare ogni età, ogni cultura, ogni condizione.
Questo Barbiere è anche discutibile. L'opera più popolare di Rossini ha uno straordinario destino. Composta a 24 anni, nel 1816 su un libretto geniale di Cesare Sterbini, tratto dalla genialissima commedia di Beaumarchais, è un capolavoro di coerenza teatrale e psicologica, con le pazzie, corteggiamenti, i travestimenti, del giovane Conte d'Almaviva, un potente di Spagna, per conquistare la sua bella sottraendola a un anziano tutore. Contiene, fra pezzi tutti memorabili, momenti diventati mitici, a cominciare dall'arrivo del barbiere factotum che incomincia la sua giornata all'alba per le strade della città addormentata cantando i fatti suoi per conto suo (è l'immortale tirata del «Figaro qua, Figaro là»). Bene, viene sempre messo in scena farcito o dilatato in mille gag nuove e vecchie. Così Figaro corre subito come un chansonnier (e se è Leo Nucci viene costretto al bis). Però succede una cosa stranissima. Funziona ugualmente. È come se ci si divertisse tutti insieme strampalando invenzioni su una storia che va avanti infallibile.
Qui lo spettacolo di Hugo de Ana (regìa, scene e costumi) la solleva nel gioco dell'astratto puro. La scena è un meraviglioso e gigantesco cerchio di siepi sovrastate da enormi rose rosse, che si apre su spezzoni ruotanti, sempre di siepi e rose rosse, con qualche oggetto essenziale per far immaginare dove siamo: un labirinto in cui non ci si può perdere. I tanti movimenti come balletti o sketches, predisposti dalla coreografa Leda Lojodice, e tutta la fantasiosissima serie di costumi fastosi, evocano coloristicamente una Spagna fra turismo e pittura. Tutti recitano come fossero specialisti della prosa e del musical, e si sente costantemente ridere: risatine personali sommesse e grandi risate generali. Il lieto fine è salutato da predisposti fuochi d'artificio e da previsti grandi applausi.
La sorpresa è che a sostenere questo raffinatissimo baraccone è un’esecuzione musicale limpida, sorvegliata, gustosissima nei tempi, nei colori, nella rara dedizione dell'orchestra, che Claudio Scimone conduce. Leo Nucci, Figaro, è più giovane e infallibile di quando incominciò a cantare qualche decina d'anni fa, ed è festeggiatissimo; Il Conte d'Almaviva, Francesco Meli, osa anche nel grande spazio acuti espansi meravigliosi e mezze voci che fan stare a fiato sospeso e orecchie tese; Bruno de Simone, il tutore Don Bartolo, ha momenti irresistibili; il più generico è il basso Orlin Anastassov, Don Basilio. Rosina, la pupilla, è Annick Massis, che inannella di fioriture la sua parte, cercando di farci dimenticare le note basse che non possiede (e canta anche bene un'aria rossiniana che non figura in partitura), il che la fa piccante ed elegante ma non tenera e sensuale. Sulla persona di Francesca Franci, troppo notevole e fascinosa per la serva Berta, vien costruito un sogno come numero da musical che stravolge la sua nostalgia d'amore in un pezzo di bravura. Tutto sta, come per tutta la serata, se continuare ad aspettarsi un'altra cosa, ed arrabbiarsi, o cedere all'invenzione travolgente ed andarsene via felici.
Lorenzo Arruga
Perché non fa faville «Barbiere» all' Arena
Dov' è la spensieratezza giocosa? Dove l' acume e lo smalto di un' intelligenza sagace? Dove il ritmo vorticoso, la battuta asprigna, il gusto agrodolce del Barbiere di Siviglia? Dove soprattutto la possibilità d' accorgersi ancora una volta quanti prodigi siano in tal capolavoro? Non è facile trovare edizioni dell' opera rossiniana che possano vantare tutto ciò senza al contempo scimmiottare modelli comandati. Poi c' è l' eterno problema che a pigiare l' acceleratore sul comico si rischia la sbandata farsesca; a far troppo i raffinati si finisce col partorire spettacoli punitivi, senza divertimento. A Verona, in ogni caso, sembra esserci tutto per far bene. Anzitutto c' è l' Arena, che non è l' ideale per l' opera buffa ma è comunque luogo che lascia spazio all' invenzione. C' è poi un' orchestra sensibilmente migliorata rispetto ad anni fa. Ancora, c' è alle spalle una struttura organizzata, che ha idee artistiche e capacità manageriali, tanto da permettersi di allestire cinque nuove produzioni tra stagione estiva e invernale. Hugo de Ana è inoltre regista di vaglia. Nella fattispecie, calca un pò la mano nel realizzare una messinscena tipo musical o avanspettacolo, con ballerini coloratissimi che danzano come ossessi ai bordi della scena. Quanto a recitazione, ricalca cliché già noti trasformando i tipi rossiniani in automi, ingranaggi di un motore a pieni giri. Ma come scenografo è formidabile. Crea un giardino pieno di rose, che è anche un labirinto (sarebbe perfetto per il finale di Figaro, d' altra parte la matrice è la stessa) dove ogni minuzia dell' azione trova il suo spazio incantato. C' è infine un cast godibilissimo. Il barbiere di Leo Nucci (30 anni in Arena) è datato ma efficace (cavatina bissata). Annick Massis fraseggia così bene e ha voce così fresca che nessuno si scandalizza della scelta che sia lei, un soprano, a far Rosina, con quel che ne deriva in termini di puntature (canta pure un' aria «da baule»). Scoppiettante Bruno De Simone (Bartolo), bene Orlin Anastassov (Basilio) e Francesco Meli (Conte), anche se un ripasso del solfeggio non gli recherebbe danno. Ma c' è un «ma», naturalmente, se no si direbbe di Barbiere memorabile. Reca il nome di Claudio Scimone. Un disastro. Trasforma Barbiere in opera stanca e noiosa. Tempi lenti, nessun colore, nessuna dinamica. Zero. E lo spettacolo non decolla anche per il faticosissimo procedere dei recitativi. Non li esegue lui, certo. Ma sua ne è la responsabilità. Alla fine però ci sono i fuochi d' artificio. E tutta l' Arena, gremita al massimo, applaude felice.
Enrico Girardi