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CASTELLO DI KENILWORTH (IL) - regia Maria Pilar Pérez Aspa

"Il Castello di Kenilworth", regia Maria Pilar Pérez Aspa. Foto Gian Franco Rota "Il Castello di Kenilworth", regia Maria Pilar Pérez Aspa. Foto Gian Franco Rota

Melodramma di Andrea Leone Tottola
Musica di Gaetano Donizetti
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 6 luglio 1829
Revisione sull'autografo a cura di Giovanni Schiavotti
© Fondazione Teatro Donizetti

Elisabetta Jessica Pratt
Amelia Carmela Remigio
Leicester Xabier Anduaga
Warney Stefan Pop
Lambourne Dario Russo
Fanny Federica Vitali

Direttore Riccardo Frizza
Regia Maria Pilar Pérez Aspa
Scene Angelo Sala
Costumi Ursula Patzak
Lighting design Fiammetta Baldiserri
Aiuto regista Federico Bertolani
Assistente ai costumi Nika Campisi
Orchestra Donizetti Opera
Coro Donizetti Opera
Maestro del coro Fabio Tartari
Nuovo allestimento e produzione della Fondazione Teatro Donizetti
Basato sulla commedia Elisabetta al Castello di Kenilworth di Gaetano Barbieri (1824), adattata dal libretto Leicester, ou Le Chateau de Kenilworth di Eugene Scribe (musica di Daniel Auber, Parigi 1823)
Dal romanzo Kenilworth di Walter Scott (1821)
Donizetti Opera Festival 2018

Bergamo, Teatro Sociale 24 novembre 2018

www.Sipario.it, 26 novembre 2018

Trame fosche sono quelle dei romanzi dello scrittore scozzese Walter Scott (1771 - 1832) che ha lasciato profonde tracce nella storia dell'opera italiana del primo Ottocento. Rossini si è ispirato a lui, se non direttamente ma tramite suoi riadattamenti in francese, per La Donna del Lago (poema omonimo) e per Elisabetta, regina d'Inghilterra (dal romanzo Kenilworth). Non fu da meno Gaetano Donizetti che mise in musica, come fonte diretta in quanto ormai le traduzioni di Walter Scott circolavano abbondantemente lungo la penisola Italiana, due titoli: Kenilwoth, per l'omonimo libretto di Tottola, l'altro, La sposa di Lammermoor, alla Lucia di Lammermoor di Salvatore Cammarano.
Per ambo i casi, non si segue pedissequamente la trama, anzi i finali e i personaggi si cambiano se non piacciono e così la conclusione in musica del Castello di Kenilworth è alquanto mutata rispetto al tragico esito. Il romanzo è incentrato sul matrimonio segreto tra Amy Robsart e Robert Dudley, conte di Leicester, favorito di Elisabetta, regina d'Inghilterra, suo amore giovanile. Pur amando la propria consorte, egli vuole accattivarsi il favore della regina Elisabetta, e solo tenendo segreto il suo matrimonio con Amy può sperare di soddisfare la sua sete di potere, segregandola nel castello al momento della visita della regina. La regina alla fine scopre la verità, e il piano del conte viene svelato ma la Amy (Amalia) del romanzo perisce in un terribile e crudele trabocchetto indotto dal cattivo di turno, Warney. Donizetti opta per un lieto fine con il perdono magnanimo e regale di Elisabetta d'Inghilterra nei confronti della coppia amanti /sposi, Leicester e Amelia, con punizione annunciata per il colpevole. Il Castello di Kenilworth esordì il 6 luglio 1829, a Napoli al Teatro di S. Carlo nel galà per «il faustissimo giorno natalizio» della regina: assai applaudita alla prova generale, l'opera era stata accolta con freddezza la prima sera, con entusiasmo alla seconda rappresentazione del 12 luglio. È il primo incontro di Donizetti con un soggetto di storia inglese e con la figura della regina Elisabetta, poi approfondito con i grandi drammi di Maria Stuarda (1834) e Roberto Devereux (1837). Lavoro trascurato nel tempo, ricco di elementi rossiniani specie nei duetti e nel ruolo di Elisabetta (scritto per il soprano Adelaide Tosi, cantante che si muoveva abilmente tra Milano Napoli e Genova con opere di Meyerbeer, Bellini e infine Donizetti).
Potrebbe essere definita opera di sperimentazione che presenta due ruoli femminili, Amelia ed Elisabetta, impostati sul medesimo registro di soprano, ma con identità vocali assai distinte. Elisabetta viene rappresentata con canto costellato di fioriture e agilità nello stile del Rossini serio. D'altro lato Amelia, che ha una tessitura più acuta, si presenta con colorature piuttosto complesse nel dialogo con Leicester e manifesta la sua personalità dolente nella struggente aria "Par che mi dica ancora" (atti III), ricca di nostalgia e levità, condizione rimarcata dall' accompagnamento della glassharmonica. Questa indicazione di strumento rimarrà codificato in questa partitura, rispetto all'indicazione del suo utilizzo nella Lucia di Lammermoor, che comparsa nelle prime rappresentazioni della cadenza della "pazzia", per opportunità, fu sostituita dal flauto.
L'opera è ricomparsa ufficialmente sulle scene moderne nel 1977, in Inghilterra e nel 1989 al Festival Donizettiano di Bergamo anche se singole arie le troviamo sparse in antologie dedicate al belcanto e rarirà ancora ai tempi della Donizetti-Renaissance di fine anni '60.
La versione vista a Bergamo fa sua la tradizione dell'incontro/scontro (del resto il sottotitolo del quaderno di sala riporta il filmico Eva contro Eva) tra le parti femminili affidando a Jessica Pratt la parte di Elisabetta e a Carmela Remigio quella di Amelia. Per l'economia interna all'opera sarebbe stato più opportuno l'inversione delle parti considerando le personalità individuali e vocali delle artiste, la Pratt più incline con le sue agilità e tessitura acuta e morbidezza della voce, al canto melanconico, la Remigio, pratica di ruoli più sensibilmente e vocalmente drammatici e per un lato similari, avrebbe reso una Elisabetta più algida e distaccata.
E così abbiamo avuto una Elisabetta emotivamente coinvolta nelle disgrazie umane di Amelia, portandosi dietro, dal punto di espressione della linea di canto, una interpretazione che umanizza le asperità dei suoi interventi vocali tecnicamente astratti specie nella chiusura del Atto I, accentuando le note centrali, corpose ponendo sempre attenzione all'emissione del fiato e la tenuta degli acuti. Certamente la Pratt ha delineato una Elisabetta musicalmente perfettibile, comunque foriera di ulteriori ruoli con questo nome. D'altro canto nulla da eccepire sul piano delle agilità e interpretazione dell'Amalia della Remigio, caratterizzata da una volontà di far valere le sue ragioni frutto anche di una pratica in ruoli di Donizetti più strutturalmente definiti (è stata le donizettiane Elisabetta, nella Maria Stuarda, e Anna Bolena). Autorevole ed energica specie ne duetto con Warney, ma al contempo incline alla malinconia, dimostrata nell'aria sognante del III atto amplificata dal sottofondo della glassharmonica di Sascha Reckert.
Autorevole la resa delle parti maschili. Su tutti Stefan Pop, nella versione originale tenorile del crudele Warney, che ha delineato un personaggio misurato ed elegante in quelle parti d'assieme e in tutti quegli interventi dove si richiedeva la sua capacità di essere tenore, capace di agilità e nelle parti acute, come ha dato prova nella cabaletta "De tuoi rifiuti pentirai" meritandosi una personale ovazione. Sicuro nel proprio ruolo di Leicester, il tenore Xabier Anduaga, più attivo nei ruoli più lirici leggeri e già ascoltato nel concerto inaugurale, che ha delineato con personalità vocale il suo ruolo di giovane di appassionato e amante ambiguo e ambizioso. Corretti e funzionali all'economia dell'opera tutta, il Lambourne, crudele secutore di ordini di Warney e carceriere, di Dario Russo e la Fanny, fida cameriera di Amelia, di Federica Vitali.
Allestimento spartano, scena di Angelo Sala, pressoché vuota, costituita da in piano inclinato sul quale in base alle ambientazioni si stendevano tappeti e guide a guisa percorsi pedonali, visibili solo dai piani alti del teatro, come scarno il lighting design, con la quasi fissità cromatica degli effetti luci, di Fiammetta Baldiserri. Sono i costumi di Ursula Patzak, fedeli ricostruzione d'epoca, e il loro uso nella scena, il fulcro di questa regia di Maria Pilar Pérez Aspa che si esplica in maniera molto essenziale, limita al minimo indispensabile le emozioni, le azione e la gestualità dei cantanti. Trova alcuni momenti di originalità, esemplificate nel gioco dei ricordi che Elisabetta rivive con Leicester, la vestizione fatta con manichini all'apparire della autorità regale e un momento in cui Elisabetta si spoglia del manto regale per indossare un corsetto quando, in solitario, perviene casualmente all'incontro con Amelia, a sottolineare i mondi di contrasto in cui si dibatte Elisabetta il dualismo tra affetti privati e pubblica virtù. Mondi separati quando alla fine dell'opera un'enorme graticcio si solleverà sul palcoscenico a isolare definitivamente l'Elisabetta regale partecipe nel mito di Astrea, dall'umano sentire.
Progetto musicalmente riuscito grazie a Riccardo Frizza che con l'Orchestra e il coro del Donizetti Opera diretto da Fabio Tartari, è riuscito a confezionare il tutto, con l'aver dato spazio alle voci, dominando l'orchestra (le piccole sfasature tra i legni sono state appena percettibili) con il giusto equilibrio di tempi.
Ovazioni al termine per tutti gli artefici sottolineato con l'antico e suggestivo lancio di fiori sul palcoscenico, un'usanza segno di rispetto e di gratitudine del pubblico per chi lavora, e duramente, in quello spazio segnato dall'arte.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Martedì, 27 Novembre 2018 09:39

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