Melodramma in due atti di Giuseppe Felice Romani
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, a cura di Gabriele Dotto
Direttore ROBERTO ABBADO
Regia JEAN-LOUIS GRINDA
Scene e costumi RUDY SABOUNGHI
Luci LAURENT CASTAINGT
Interpreti
Priuli NICOLÒ DONINI
Contareno DMITRY KORCHAK
Capellio GIORGI MANOSHVILI
Falliero AYA WAKIZONO
Bianca JESSICA PRATT
Costanza CARMEN BUENDÍA
Ufficiale / Usciere CLAUDIO ZAZZARO
Cancelliere DANGELO DÍAZ
CORO DEL TEATRO VENTIDIO BASSO
Maestro del Coro GIOVANNI FARINA
ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI
Nuova produzione
Pesaro, Auditorium Scavolini, 7 agosto 2024
45° Rossini Opera Festival. Serata Inaugurale
Pesaro Capitale della Cultura 2024 per la 45a edizione del Rossini Opera Festival si muove tra spazi storici momentaneamente non disponibili come l'Auditorium Pedrotti del Conservatorio e spazi recuperati come l'Auditorium Scavolini exPalasport, una delle sedi storiche delle primissime edizioni del ROF. Questo rinnovato auditoriun, tra l'altro anche in zona relativamente centrale, ha ospitato la serata inaugurale del festival del 2024 col rossiniano Bianca e Falliero, un ritorno dopo la riproposta in tempi moderni nell'allestimento di Pier Luigi Pizzi nel 1985 con protagonisti Katia Ricciarelli, Marilyn Horne e Chris Merrit, riproposto nel 1989 con Merrit, Lella Cuberli e Martine Dupuy e con altra produzione nel 2005 che però ha riscosso meno successo. Interessante è la genesi dell'opera che Rossini scrisse nel 1819 per il Teatro alla Scala di Milano su libretto di Felice Romani. Il musicista pesarese era reduce da un intenso periodo compositivo tra Donna del Lago, Mosè in Egitto, Ricciardo e Zoraide, ed Ermione continuando nel suo incarico di direttore musicale a Napoli. Un periodo di attività molto intensa per il compositore e conscio dell'imprevedibiltà del pubblico milanese molto esigente ma conservatore per gusto, in un periodo politicamente complesso, in piena Restaurazione. La rappresentazione al 26 dicembre del 1819 alla Scala non fu un successo così sperato, i commenti parlano di disapprovazione senza però indicare le ragioni di tale rifiuto, per altri commentatori si sostiene la povertà di materiale originale e la scrittura vocale poco uniforme e spezzettata per dar espressione agli affetti di un'opera appartenente al genero serio; per Stendhal, troppi autoprestiti dalla Donna del Lago anche se fu il contrario, pezzi della Bianca e Falliero entrarono nel Moïse e nel Maometto II oltre a riduzioni per l'Elisabetta d'Inghilterra, oppure forse troppo innovativa per una trama seria impostata con uno stile vocale rossiniano ricco di coloratura ritenuto del tutto inadatto a rappresentare le forti passioni. Certo che l'opera comparve in un momento di forti polemiche tra Classicisti vs.Romantici che aveva il centro proprio a Milano. In corso d'opera il pubblico milanese cominciò ad apprezzarla ma non quel tanto da farla rientrare in repertorio. Vivacchiò mutilata fino alla metà dell''800 in alcune sue arie per poi ecclissarsi. Interessante è invece la trama che dà il via alle rappresentazioni su fatti della storia veneziana che Felice Romani trasse da una tragedia in 5 atti di Antoine Vicent Arnaul, Blanche et Montcassin ou Le Vénitiens, che rievoca una congiura attribuita all'ambasciatore spagnolo contro la Serenissima nel XVII secolo. Fu una delle prime incursioni dell'opera nella storia della Serenissima dopo il crollo della Repubblica, quando drammaturghi di fama come Victor Hugo e Lord Byron fecero a gara nel rappresentare storie fosche e trame oscure dell'assolutismo del dominio dei Dogi. Si parla di una congiura ordina dall'ambascia di Spagna a Venezia per far cadere la Repubblica e su cui si innesta la storia di un padre, Contareno, che ostacola in tutti modi la figlia Bianca, impedendole di unirsi all’amato Falliero, eroe vincitore i terra degli spagnoli, e preferendo per lei nozze più convenienti con Capellio, utili per di più ad appianare rivalità e antichi odi fra famiglie. Alla fine il padre si rassegna all’ostinazione della figlia, la quale, dapprima sembra piegarsi al suo volere, poi prende in mano la situazione e difende fino all’ultimo Falliero, con un lieto fine che la vede coronare il suo sogno d’amore addirittura con la benedizione e il perdono del padre, finalmente pentito. Romani ci presenta un lieto fine piuttosto che il finale tragico della tragedia originaria in cui Falliero viene ucciso per supposto tradimento, con un cambiamento repentino di stile e stati d'animo dei personaggi. E su questo equivoco di sentimenti gioca la regia affidata a Jean-Louis Grinda, al suo debutto a Pesaro e al suo staff di collaboratori per le scene e costumi Rudy Sabounghi e luci di Laurent Castaingt. “La drammaturgia può sembrare semplice, persino semplicistica, il periodo storico della vicenda ha un’importanza marginale..." affermazione che ci fa capire che si assisterà ad una rappresentazione in forma moderna, ma tra l'altro collocata negli anni '50 con i soliti abiti a giacca e cappellini indossati dall'elemento femminile del coro e da giacca e cravatte dei "popolani" veneziani. Di contro Falliero si presenta in corsetto d'armatura, i nobili veneziani e il doge nei loro paramenti da gala, contraddizioni intrinseche all'interno della stessa lettura dell'opera. Di anacronismi storici è ricco il libretto che per essere più funzionale inserisce una improbabile guerra attorno a Bergamo tra Venezia e Spagna a alla cui risoluzione contribuisce il giovane Falliero. Un video iniziale che cerca di spiegare le ragioni storiche della trama e di una guerra, riprende scene dalla guerra di Spagna degli anni Trenta con popolazione in fuga, bombardamenti, morti estratti dalle rovine. Improvvisamente compaiono in scena i figuranti elegantemente vestiti, così è se vi pare, ad acclamare il vittorioso Falliero. E come le nuove regie pretendono, ecco l'inserimento di una figura specchio, un'aggiunta, una persona anziana cieca che si sostiene con un bastone che entra in scena con Bianca con una simbologia poco chiara, forse madre (troppo vecchia) una sorta di riflesso di un possibile futuro se l'intento del regista era quello di "far vedere la meccanica rossiniana" una figura che rimane insoluta e marginale per la percezione complessiva dell'opera. Ma forse tale affermazione è più appropriata a definire l'impianto scenografico che si presenta funzionale a dar corpo alle scene: spostate a vista le strutture si trasformare in pulpiti, ambienti, spazi aperti e fondali dove proiezioni ci presentano squarci di una Venezia plumbea e lunare. Per il resto tutto prosegue in una movimentazione standardizzata gestita per far entrare e uscire i personaggi. Alla sola Bianca viene riservata una gestualità estremizzata nel momento che le solite cameriere tutte "pizzi e lazzi" presentano omaggi floreali nell'imminente arrivo di Falliero, fiori che Bianca, nell'aria certamente emblematica del primo atto Come sereno è il di... Della rosa il bel vermiglio... raccoglie per poi violentemente gettarli nervosamente a terra. Già perché una qualcosa di riconoscibile nella trama si percepisce, nella scena del matrimonio contrastato con l'irruente entrata di Falliero che si sente tradito e che reclama Bianca come sia sposa: sembra un annuncia di altre storie di follie e di sposi traditi, del resto i romanzi di Walter Scott circolava abbondantemente per la penisola in quegli anni oggetto di un continuo recupero di situazioni drammaturgiche. E su queste analogie la protagonista Jessica Pratt si è trovata a suo agio definendo un ritratto a tutto tondo del personaggio pencolante già verso un Romanticismo lirico sintetizzato dal duetto con Falliero del secondo atto o dalla magistrale scena del matrimonio forzato. Giova alla Pratt la scrittura ardita rossiniana evidenziando e accentuando variazioni che caratterizzano e consolidano la sua personalità di cantante in questo repertorio estremo. Soprattutto piegando la voce alle esigenze drammaturgiche dando sempre carica emotiva al suo personaggio senza compromessi alcuno sia scenico che vocale a costo, per un momento, di perdere controllo del sovracuto finale. Subito perdonata visto che per tre ore ha retto il peso dell'opera mantenendo il fascino della voce. Un cast che ha dimostrato di essere all'altezza di un impegnativo titolo. Come il tenore Dmitry Korchak, nel ruolo del padre di Bianca, che ha superato i vari passaggi in acuto imponendosi nell'aspetto più lirico della parte nel contrasto con Bianca o nel finale inaspettato, di cambio di registro. Buona la prova del mezzosoprano giapponese Aya Wakizono che ha retto una parte assai complessa tra agilità delle cabalette, momenti più densamente lirici con una impostazione più sopranile che da contralto cosa che ha fatto venir meno la pastosità nei passaggi più gravi. Ha meritato il basso Giorgi Manoshvili nel ruolo di Cappelio. Funzionali gli altri componenti del cast, che hanno contribuito al successo della serata dal Priuli di Nicolò Donini, alla Costanza di Carmen Buendía, dall’Ufficiale e Usciere di Claudio Zazzaro e al Cancelliere di Dangelo Díaz. Il tutto gestito da Roberto Abbado alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e il Coro del Teatro Ventidio Basso, quest’ultimo istruito da Giovanni Farina con il supporto di Andrea Severi, al fortepiano per gli accompagnamenti ai recitativi assieme al continuo, del violoncellista Jacopo Muratori e dal contrabbassista Matteo Magigrana. La gestione di Abbado è stata sempre caratterizzata da una concertazione molto calibrata ed equilibrata nei ritmi e nell'andamento lirico sostenendo le voci con tempi giusti a sostegno anche degli assiemi che sono costruiti nel dare slancio alle voci e nel creare il pathos narrativo nei finali, senza cercare modelli di lettura che non siano quelli intriseci alla composizione stessa, e che si percepiva aperta a diverse suggestioni musicali. Alla fine un’accoglienza trionfale ha accolto la conclusione della rappresentazione: certamente un pubblico da inaugurazione composto anche da autorità e personalità di rilievo della vita pubblica ma le aspettative sono state rispettate tra applausi scroscianti e ovazioni del pubblico. Si segnalano però spazi vuoti di pubblico sulle gradinate, in un evento che doveva essere da tutto esaurito dell'Auditorium Scavolini, fatto che fa riflettere sull'evoluzione futura del Festival. Federica Fanizza