(Sobac'e serdce)
di Alexander Raskatov
Produzione De Nederlandse Opera, Amsterdam
Direttore Martyn Brabbins, Regia Simon McBurney, Scene Michael Levine, Costumi Christina Cunningham, Luci Paul Anderson, Video Finn Ross, Marionette Blind Summit Theatre - Mark Down, Nick Barnes, Movimenti coreografici Toby Sedgwick
Con Paulo Szot, Ville Rusanen, Peter Hoare Mark Down, Robin Beer, Fin Cadwell, Josie Daxter, Elena Vassilieva, Nancy Allen Lundy, Vasily Efimov, Andrew Watts, Graeme Danby, Sophie Desmars, Matthew Hargreaves, Brian Galliford, Annett Andriesen, Sophie Desmars, Andrew Watts, Vasily Efimov, Evgeny Stanimirov
Milano, Teatro alla Scala, dal 13 marzo al 3 aprile 2013
Cosa succede se un cuore umano viene trapiantato nel petto di un placido cane? Succede che il quadrupede si umanizza assumendo i comportamenti più deleteri del bipede dal quale proviene il muscolo cardiaco, al punto che lo scombinato chirurgo che ha provveduto all'esperimento decide di riportarlo all'originaria condizione canina. È questa la conclusione cui giunge Michail Bulgakov nel romanzo breve Cuore di cane, al quale si ispira l'omonima opera del compositore russo Alexander Raskatov su libretto firmato dall'italiano Cesare Mazzonis. Naturalmente non è tutto qui: c'è anche la satira del regime sovietico, con tanto di Comitato Inquilini, coretti proletari, riferimenti ai discorsi controrivoluzionari ed al bolscevismo, mentre il personaggio del Grande Capo è un'evidente allusione alla figura di Stalin. A scanso di equivoci, nel corso del colloquio telefonico con l'esimio chirurgo che minaccia di lasciare Mosca, nel libretto Cesare Mazzonis ha messo in bocca al Grande Capo la frase: «Dica, le siamo venuti così a noia?». È la stessa pronunciata dal dittatore nell'unica telefonata fatta a Bulgakov in risposta alla domanda epistolare posta dallo scrittore agli alti papaveri sovietici: «Son dunque io pensabile in URSS?» A riprova dei rapporti tesi tra il regime e l'autore, Cuore di cane, scritto nel 1925, in Unione Sovietica non viene pubblicato in versione integrale che nel 1987, circolando prima di allora solo attraverso il samizdat, la rete clandestina della dissidenza.
È del 2010, invece, l'opera di Raskatov che, dopo un debutto ad Amsterdam nel giugno ed una ripresa londinese nel novembre di quell'anno, viene ora proposta al Teatro alla Scala dal 13 marzo al 3 aprile: una curiosità per il pubblico nell'anno delle celebrazioni verdiane ed wagneriane, in cui sul palco scaligero vengono rappresentate in prevalenza opere dei due compositori, Verdi e Wagner, di cui ricorre il duecentesimo anniversario della nascita. La bizzarra vicenda del cane fatto uomo è resa ancor più originale dagli accorgimenti cui il regista Simon McBurney ricorre per l'allestimento. Difficile pensare che un vero cane, pur addestrato, resista in scena docile e obbediente per un'ora in quarto, la durata del primo atto del quale è indiscusso protagonista (nel secondo atto è il suo equivalente umanizzato a spadroneggiare). La geniale sostituzione del quadrupede in carne ed ossa con un burattino, costituito da un'essenziale struttura metallica ed animato a scena aperta da un'équipe di abilissimi burattinai, crea un effetto di rara suggestione. L'intensità delle espressioni del muso e la verosimiglianza dei movimenti del corpo sono impressionanti: è il caso di dire che gli animatori riescono a dare l'anima alla loro creatura, piuttosto che limitarsi a muoverla. Acuto filosofo e commentatore della realtà circostante, il cane dal canto suo esterna i suoi pensieri attraverso una "voce brutta", affidata ad un soprano drammatico che emette suoni tramite un megafono, ed una "voce bella", assegnata ad un controtenore che, in perfetta sintonia con il suo alter ego, arriva a buttarsi a pancia per aria per farsela grattare insieme a lui, quando il suo beniamino avverte questa necessità. Ottimi gli interpreti che, sotto la direzione di Martyn Brabbins in sostituzione di Valery Gergiev, si trovano ad affrontare una non semplice partitura, per di più impegnati nel doppio ruolo di cantanti ed attori in grado di valorizzare la vis satirica dell'autore.
Myriam Mantegazza