Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Tobia Gorrio (Arrigo Boito)
Musica di Amilcare Ponchielli
La Gioconda Monica Conesa
Laura Adorno Agnieszka Rehlis
Alvise Badoero Simon Lim
La Cieca Agostina Smimmero
Enzo Grimaldo Angelo Villari
Barnaba Angelo Veccia
Zuàne Alessandro Abis
Un cantore Francesco Azzolini*
Isèpo Francesco Pittari
Un pilota Maurizio Pantò*
Un barnabotto Nicolò Rigano*
Una Voce Dario Righetti*
Un’altra Voce Jacopo Bianchini*
Prime ballerine Evgenija Koskina,
Tetiana Svetlicna, Mina Radakovic
*Artisti del coro della Fondazione Arena di Verona
Orchestra, coro e tecnici della Fondazione Arena di Verona
Coro di Voci Bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani
Direttore Francesco Ommassini
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia e scene Filippo Tonon
Costumi Filippo Tonon e Carla Galleri
Luci Fiammetta Baldiserri
Coreografie Valerio Longo
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
in coproduzione con lo Slovene National Theatre Maribor,
As.Li.Co. e il Teatro Massimo Bellini di Catania
Verona, Teatro Filarmonico 23 ottobre 2022
Stagione lirica 2022
Particolare è la vicenda compositiva de La Gioconda (1876), opera lirica di Amilcare Ponchielli, più volte presa in mano e aggiustata, tanto da avere quattro versioni fino all’ultima del 1879 data a Genova, come del musicista stesso, compositore e direttore di bande e nel contempo titolare della cattedra di composizione presso il Conservatorio di Milano che annoverò tra i suoi allievi Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Marco Enrico Bossi, Ettore Pozzoli, una nuova generazione di compositori e didatti della musica. Tra la tradizione lirica verdiana e la Giovane Scuola, Ponchielli fu musicista di transizione, rappresentante di quel periodo molto fluido di titoli e di compositori ma con poche realizzazioni destinate a durate, quel "dopo Verdi", post risorgimentale, sottobosco operistico piuttosto affollato che riempiva, nei cartelloni dei maggiori teatri dell’epoca, gli spazi lasciati liberi dai “grandi”, spesso, lavori destinati, quasi tutti, a non superare il trascorrere della stagione in cui essi venivano rappresentati. Sorte che condivise lo stesso Amilcare Ponchielli che salvo per la celeberrima Gioconda, per il resto la sua produzione è stato del tutto dimenticata. In questo periodo sono forse i librettisti che presentano novità sostanziali, non sono più mestieranti del verso musicale, ma affermati scrittori di teatro e romanzieri rappresentanti di quella Scapigliatura milanese antesignana del Verismo di fine ottocento che annoverava Emilio Praga, Camillo e Arrigo Boito, Antonio Ghislanzoni, che fanno transitare nella scelta dei temi e nella versificazione delle trame, i temi di una modernità di stile e riferimenti ideologici. Questo vale soprattutto per Arrigo Boito che realizza nelle sue operazioni musicali, personaggi esaltatori del Male come attori del mondo, realizzando personaggi emblematici come il Barnaba de La Gioconda e, a seguire, lo Jago dell'Otello verdiano. Perché La Gioconda di Ponchielli ha mantenuto quel successo di pubblico che raccolse fin dalla prima milanese al Teatro alla Scala? Forse per la sua macchinosità drammaturgica fosca e truce che mette in scena una Venezia decadente che la tradizione ottocentesca di intellettuali, come Lord Byron e James Fenimore Cooper l'hanno voluta rappresentare, una Serenissima che si regge sulle spie, sulle denunce segrete, sui sicari di stato, una trama a tinte forti, da teatro francese del Grand Guignol, dove tutto finisce in sangue, del resto la trama deriva dal dramma di Victor Hugo Angelo tiranno di Padova. Perché affida il suo successo anche ai i suoi numeri teatrali che alternano romanze, improvvisi musicali, ampie scene d'assieme, duetti tra rivali in amore, la presenza di inserti di danze, mediate dal Grand operà francese. Non ultima l'ingombrante memoria della Maria Callas, che ancora sovrastano il ruolo eponimo.
In queste settimane viene proposta, tra i teatri lombardi e Verona, in coproduzione tra Fondazione Arena di Verona, Slovene National Theatre di Maribor e Teatro Bellini di Catania
Sul palcoscenico del Filarmonico veronese vi ricompare dopo 17 anni, dall'ultima rappresentazione in Arena in un interessante allestimento, in coproduzione tra Fondazione Arena di Verona, Slovene National Theatre di Maribor Teatro Bellini di Catania e As.Li.Co. di Filippo Tonon (suoi anche i costumi). La scena è dominata da alcuni elementi monumentali mobili che ridefiniscono il palcoscenico in relazione allo spazio richiesto, se per scene di massa, o per delimitare interni, potendo in questo caso giocare l'azione su più prospettive.
I bei tagli di luce di Fiammetta Baldiserri esaltavano la dimensione pittorica dello spazio scenico. Tonon ha riposizionato la vicenda, da una Venezia dogale ad una Venezia austriaca in declino, facendo in tal modo acquisire una dimensione anche politica del ruolo di spia e sicario di Barnaba che ne accentua il carattere fosco e sospettoso di questa Venezia così come il mondo letterario romantico l'ha reinterpretata.
Non è opera facile da confezionare. Esige voci drammaticamente ben strutturate: un soprano drammatico con caratteristiche vocali da lirico-spinto ed ampio registro medio grave, un baritono drammatico, un tenore lirico di slancio, un mezzosoprano e un contralto un basso profondo nonché una lettura della partitura che sappia andare alla ricerca finezze musicali togliendo quella superficialità di esecuzione senza cadere nel rischio di esagerare nelle sonorità bandistiche, che qua e là attraversano la partitura.
Più che buona la prestazione del tenore Angelo Villari, di recente Manrico nel Trovatore a Fidenza, nel personaggio di Enzo Grimaldo, presentandosi come tenore di slancio e irruente, vocalmente sfacciato, capace di risolvere a suo favore le sfasature in cui è incappato nell' aria Cielo e mar, riaggiustata nella parte più acuta, ma dotato di una sostanziale linea di canto e capacità attoriale. Accanto la Gioconda di Monica Conesa che ha dimostrato di possedere estensione di voce, bella nelle parti acute, ma aspra nel registro centrale, musicalmente capace di sostenere le parti più intense riassumibili nel duetto di confronto con il mezzosoprano L'amo come il fulgor del creato, per concludere con una vocalità intensa e di coinvolgimento nell'aria “Suicidio!” Così come La Laura Adorno delineata dal mezzosoprano Agnieszka Rehlis con voce morbida capace di estendersi verso la zona acuta ben equilibrata. Il Barnaba del baritono Angelo Veccia è la sintesi ideologica di questa nuova tendenza della drammaturgia lirica definita da Arrigo Boito, è stato capare di definire il carattere infido del personaggio mantenendosi sempre su una linea del canto, senza eccedere in effetti declamatori, nonostante una vocalità cruda ma efficace. Consolidata nel ruolo de La Cieca, Agostina Smimmero, voce di contralto capace di espressione rassegnata e pietosa. Il basso Simon Lim delinea un Alvise Badoero misurato ma senza impressionare come interprete. Come comprimari, ben impostato lo Zuàne di Alessandro Abis e funzionali ai ruoli di supporto il resto della locandina provenienti dalle file del coro ben diretto da Ulisse Trabacchin, che si prende i suoi spazi nelle grandi scene popolari.
Danza delle ore essenziale, con tre danzatrici su coreografia di Valerio Longo, tra modernità contenuta e tradizione. Applausi meritati a Francesco Ommassini che ha saputo gestire il tutto con misura, ed equilibrio con un pubblico ampiamente soddisfatto che in occasione della prima rappresentazione pomeridiana è accorso a teatro.
Federica Fanizza