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GUILLAUME TELL - regia Chiara Muti

"Guillaume Tell", regia Chiara Muti. Foto Brescia Amisano, Teatro alla Scala "Guillaume Tell", regia Chiara Muti. Foto Brescia Amisano, Teatro alla Scala

Di Gioachino Rossini 
Maestro concertatore e direttore d’orchestra Michele Mariotti
Regia Chiara Muti
Scene Alessandro Camera
Costumi Ursula Patzak
Luci Vincent Longuemare
Coreografie Silvia Giordano
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Maestro del coro Alberto Malazzi
Nuova produzione del Teatro alla Scala
Personaggi e interpreti
Arnold Melchtal Dmitry Korchak
Guillaume Tell Michele Pertusi
Walter Fürst Nahuel Di Pierro
Melchtal Evgeny Stavinsky
Gessler Luca Tittoto
Rodolphe Brayan Ávila Martinez
Leuthold Paul Grant
Ruodi Dave Monaco
Mathilde Salome Jicia
Jemmy Catherine Trottmann
Hedwige Géraldine Chauvet
Un chasseur Huanhong Li*
*Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala
Milano, Teatro alla Scala, 23 marzo 2024

www.Sipario.it, 21 marzo 2024

Un’atmosfera cupa, dichiaratamente ispirata a Metropolis di Fritz Lang, una scena scura fatta di alti palazzi che soffocano l’orizzonte, costumi grigi che coprono sagome di uomini e donne privati della loro umanità. Il tema di fondo ha un respiro biblico: il perenne scontro tra bene e male, con Gesler che incarna il Maligno e Guillaume che, suo malgrado, viene ad assumere una dimensione salvifica simile a quella di un Messia. Il mezzo attraverso cui il male imprigiona la libertà degli uomini è costituito da tablet e telefonini “la cui luce del display è come il sorriso di Narciso, più lo guardi e più finisci nell’abisso”. Così la regista Chiara Muti spiega l’assurto centrale della sua drammaturgia per Guillaume Tell di Gioachino Rossini, per la prima volta (incredibilmente) sul palco del Teatro alla Scala nella sua originale (e pressoché integrale) versione francese. Un’idea precisa, caparbiamente e coerentemente portata sino alle estreme conseguenze lungo i quattro atti dell’opera. Un’idea, tuttavia, che coglie solo una dimensione - per quanto importante - dell’immenso capolavoro rossiniano. E che, per esempio, sacrifica del tutto il tema della natura, pure così centrale. Funzionali a tale impostazione sono le luci fredde di Vincent Longuemare e i costumi di Ursula Patzak. Chiara Muti è regista di grande mestiere, sa muovere singoli e masse, escogita anche soluzioni originali come il balletto del terzo atto, peraltro contestatissimo dal pubblico, ma in realtà molto intelligente nella sua costruzione (un plauso alla coreografia di Silvia Giordano). Tuttavia, l’esito complessivo è uno spettacolo esteticamente discutibile per questo suo continuo insistere sui toni scuri, ripetitivo (le scene, firmate da Alessandro Camera, sono quelle, anche se ruotano più volte tra un atto e l’altro), non privo di smagliature (Gesler come un inquietante Cappuccetto rosso) e, in definitiva, monotono. Peccato, perché invece il fronte musicale è notevole. Anzitutto per la direzione di Michele Mariotti, cresciuto “a pane e Rossini”, capace quindi di valorizzare al meglio la scrittura del Cigno di Pesaro, creando un mirabile equilibrio tra la dimensione apollinea e quella dionisiaca. Una perenne pulsazione ritmica da un lato regge e guida inesorabile le fila dell’incedere teatrale, dall’altro fa fiorire la melodia, conferendole quell’abbrivio ora malinconico, ora vigoroso, ora sognante, a seconda del momento emotivo. La ricchezza dei colori si accompagna sempre a un fraseggio perfettamente aderente al cuore drammatico delle diverse scene. Nel cast, primeggia per nobiltà d’accento e morbidezza di linea il Guillaume di Michele Pertusi, mentre Dmitry Korchak è un Arnold tanto vigoroso nell’acuto quanto amoroso nel canto spiegato. Apprezzabile - ma non allo stesso livello degli altri due protagonisti- la Mathilde di Salome Jicia, dal timbro color miele scuro e dal bel gioco di chiaroscuri. Molto bravi tutti gli altri: la nobile Hedwige di Géraldine Chauvet, il fiero Walter di Nahuel Di Pierro, l’autorevole Melcthal di Evgeny Stavinsky, l’adamantina Jemmy di Catherine Trottmann, il Gesler inquietante di Luca Tittoto, lo svettante Ruodi di Dave Monaco. E poi ancora Brayan Ávila Martinez (Rodolphe), Paul Grant (Leuthold), Huanhong Li (un chasseur). Guidato da Alberto Malazzi, il coro, che tanta parte ha in questo capolavoro, emerge per compattezza, intonazione e varietà di colori.

Fabio Larovere

Ultima modifica il Domenica, 31 Marzo 2024 03:32

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