Opera in tre atti
libretto di Leoš Janáček dal dramma Groza (L’uragano) di Aleksandr Ostrovskij
nella traduzione in ceco di Vincenc Červinka
Direttore David Robertson
Regia Richard Jones
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE E COSTUMI Antony McDonald
LUCI Lucy Carter
MOVIMENTI COREOGRAFICI Sarah Fahie
PRINCIPALI INTERPRETI
SAVËL PROKOFJEVIČ DIKOJ Stephen Richardson
BORIS GRIGORIJEVIČ Charles Workman
MARFA IGNATĚVNA KABANOVÁ Susan Bickley
TICHON IVANYČ KABANOV Julian Hubbard
KATĚRINA (KÁŤA) Corinne Winters / Laura Wilde (27 gennaio)
VÁŇA KUDRJAŠ Sam Furness
VARVARA Carolyn Sproule
KULIGIN Lukáš Zeman
FEKLUŠA Angela Schisano *
GLAŠA Sara Rocchi *
ŽENA Michela Nardella
POZDNÍ CHODEC Giordano Massaro
* Diplomato “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento in coproduzione con Royal Opera House Covent Garden
Teatro dell’Opera di Roma dal 18 al 27 gennaio 2022
Una ragazza, Kát’a, combattuta tra costumi, consuetudini sociali e libero pensiero. Un dissidio, interiore e collettivo, che finirà per risolversi in tragedia. Un ragazzo, Dikoj, perpetuamente insultato dallo zio perché ai suoi occhi appare come un nullafacente. Quest’ultimo sceglierà la libertà, ma a quale prezzo: perdere l’eredità dei suoi genitori e andare altrove, in un posto dove non ci sarà nessuno a comandarlo a bacchetta come una recluta alle prime armi. In parole semplici: una contrapposizione pervicace e netta fra mondo intellettuale e mondo materiale; due modelli sociali irriducibili, impossibili da conciliare e da far convivere quando a pervadere il tutto vi è un elemento tra i peggiori: la grettezza dell’animo umano. Questo, in parole povere, ciò che racconta e mostra Kát’a Kabanová di Leoš Janáček.
Al di là degli aspetti formali ben riassunti in un brillante saggio di Milan Kundera raccolto ne I testamenti traditi, l’opera del compositore ceco può considerarsi il parallelo in musica di quello che rappresentò Madame Bovary per la letteratura: una rivoluzione estetica e di osservazione del mondo. Tanto Flaubert che Janáček furono impietosi e severi nei confronti di un certo tipo di società, troppo ancorata a ipocrisie e falsi moralismi. Critica che si muove ponendo al centro due figure femminili ricche di contraddizioni, mai nette nel mostrarsi. Difatti, sia Emma che Kát’a, pur ammirevoli per la ventata di novità che le loro rispettive condotte portano, non possono considerarsi personaggi limpidi, in quanto essi stessi falsi. Entrambe inseguiranno i loro sentimenti ricorrendo alla menzogna; mascherata, nel caso di Kát’a, da una religiosità usata come alibi, scudo protettivo. Decisiva una domanda: è più ipocrita la società, con tutte le sue convenzioni formali e falsamente morali, o la protagonista femminile dell’opera che, pur di non affrontare fino in fondo e con coerenza le conseguenze delle sue decisioni, preferisce la morte?
A questo interrogativo, la regia di Richard Jones non solo non tenta di rispondere, ma neppure vi accenna. La sua Kát’a Kabanová, pallidamente impersonata da una modestissima – sotto il profilo interpretativo – Corinne Winters, finisce per somigliare ad una educanda da collegio di suore priva di personalità e intelletto, e che, sprovvista d’una certa malizia intellettuale, finisce per soccombere di fronte alla vita e alle sue pulsioni. Una Kát’a distante dall’essere una donna matura, ma molto più simile a una bimba capricciosa e viziata che non tollera essere redarguita.
Sul piano musicale, la direzione di David Robertson è stata buona ed ha saputo cogliere quella componente di concretezza presente nello stile del compositore ceco. Elemento, quest’ultimo, di vera rivoluzione in ambito operistico. Soprattutto tenendo conto – sono parole di Kundera – della familiarità “con intonazioni non appartenenti all’ambito della musica ma al mondo oggettivo”. E di quest’aspetto, Robertson è stato bravo e misurato interprete.
Pierluigi Pietricola