Direttore Fabio Luisi
Regia Francesco Micheli
Regista collaboratore Valentino Villa, Assistente regista Erika Natati,
Scene Federica Parolini, Assistente scenografo Eleonora De Leo,
Costumi Alessio Rosati, Assistente costumista Giulia Giannino,
Light designer Daniele Naldi,
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro Lorenzo Fratini,
Violetta Valéry Zuzana Marková, Alfredo Germont Matteo Lippi, Giorgio Germont Giuseppe Altomare, Flora Bervoix Ana Victoria Pitts, Annina Marta Pluda, Gastone Gregory Bonfatti/Claudio Zazzaro, Barone Douphol Dielli Hoxha, Marchese d'Obigny Min Kim, Dottor Grenvil Adriano Gramigni, Giuseppe Luca Tamani/Fabrizio Falli, Un domestico Nicolò Ayroldi/Nicola Lisanti, Commissionario Antonio Montesi/Giovanni Mazzei, Figuranti speciali Irene Barbugli, Elena Barsotti, Daniela D'Argenio, Ilaria Brandaglia, Gaia Mazzeranghi, Paolo Arcangeli, Gianni Bertoli, Fabrizio Casagrande, Cristiano Colangelo, Pierangelo Preziosa, Mauro Stagi.
Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino dal 15 al 21 settembre 2018
Siamo in un'epoca in cui conoscere il verbo non è cosa facile. Non è più diretto come poteva in passato avvenire. Il verbo ovvero la conoscenza, il sapere è fluttuante come i fiui dell'alcool o i fumi di una sigaretta elettronica. Pertanto spesso e sovente nel campo dell'opera lirica, ci si erge giudici di un verbo, di un sapere del quale forse e propriamente forse non si ha ragione. Inizio con questa riflessione la cronaca della Traviata del Maggio Fiorentino diretta da Fabio Luisi con la regia di Francesco Micheli. E' ciò che Micheli ha creato che è nuovo, finalmente in un insieme di segni, rimandi, assolute certezze dal passato e con la futuribilità dei geni. Pensare, immaginare di narrare la tragica ed umana storia di Violetta Valery, tanto cara ai romantici come ad esempio la iconograficamente classificata Zeffirelli è sinonimo di lettura di un classico. Immortale. Ma la scena si sa, da quando Wagner irruppe con le sue idee di opera totale, la scena lirica è diventata altro. Il palcoscenico dell'azione è e deve essere azione, movimento, ritmo. Le scenografie statiche di cui abbiamo memoria e che sono spesso onnipresenti in tanti allestimenti, fanno essenzialmente memoria, memoria di un passato. Persino Karajan che guardava al futuro partendo dalla sua formazione estremamente classica, dirigeva nell'essenzialità della scena, dando giustamente risalto a quello che avveniva sul palco ma senza tralasciare ciò che invece usciva dalla buca. Quindi Francesco Micheli che da tempo ha preso suo il verbo del futuro, ha immaginato la triste storia di Violetta come ciò che è umano, molto umano. Con tanti riferimenti dotti o meno, Micheli costruisce l'opera usando le macchine sceniche, usando le luci, usando i corpi. Ed è proprio questo lo scandalo: il corpo. Quando trasforma Violetta nel cambio di abiti, quando la veste di rosso di latex, quando la fa entrare in una grande coppa di champagne e così via. E' l'usabilità del corpo, quello femminile. E su questo Micheli muove la sua idea di vita, di una persona che è condannata da una società reazionaria e conservatrice. La vera protagonista è certamente Violetta e la scansione che Micheli da all'opera di Verdi è quella di un film. Così come forse Verdi l'avrebbe immaginata se avesse conosciuto il cinema. La conseguenza e conseguenzialità delle azioni, in una sorta di metalinguaggio che risponde proprio ai canoni di quel futuro che Micheli ben conosce di messa in scena off off. E' l'idea dell'opera come musical. E' l'idea di narrare la tragedia umana con la scena nella musica. La compagnia è stata di grande classe. Ha risposto molto bene. Zuzana Markova si è mossa come una Medea, forte, fortissima fino alla fine. Nella ricerca dei cassetti del suo passato. In una Parigi mai vista. In una vita spettacolare come Satine di Moulin Rouge. Brava, molto. E così Matteo Lippi, Giuseppe Altomare e tutto il cast. Il coro in scena come massa fisica. Bambole che rimandano a miti freudiani. La profondità della ricercatezza dell'anima. Fabio Luisi magistrale nel dare il giusto suono ad una delle opere più importanti del catalogo verdiano. L'orchestra ha suonato molto bene, proponendo proprio quel suono necessario a narrare ciò che succedeva sulla scena. Pertanto presumere di sapere di più, oggetto di critica di molti, spesso richiederebbe una profonda conoscenza di ciò che si vuol mettere come oggetto di negatività. Sarebbe molto più interessante che chi ascolta e vede un'opera apprendesse il senso della "non barcaccia" e quindi quell'educato modo di vivere l'opera. Senza applausi ad ogni piè sospinto e senza quell'insopportabile modo di non gradire con fischi, lazzi e spilli. Un tempo, appunto, si sarebbe chiamato "bon ton".
Marco Ranaldi