Musica Giuseppe Verdi
Opera in quattro parti
Libretto di Salvadore Cammarano
tratto dall’omonimo dramma spagnolo di Antonio García Gutiérrez
Prima rappresentazione assoluta
Roma, Teatro Apollo, 19 gennaio 1853
direttore Daniele Gatti
regia Lorenzo Mariani
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE E COSTUMI William Orlandi
LUCI Vinicio Cheli
VIDEO Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii
PERSONAGGI E INTERPRETI
IL CONTE DI LUNA Christopher Maltman / Giovanni Meoni
LEONORA Roberta Mantegna**
AZUCENA Clémentine Margaine
MANRICO Fabio Sartori / Piero Pretti
FERRANDO Marco Spotti
INES Marianna Mappa*
RUIZ Domingo Pellicola*
UN VECCHIO ZINGARO Leo Paul Chiarot / Antonio Taschini
UN MESSO Michael Alfonsi / Aurelio Cicero
* Dal progetto “FABBRICA” YOUNG ARTIST PROGRAM del Teatro dell’Opera di Roma
** Diplomato progetto “FABBRICA” YOUNG ARTIST PROGRAM del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
Circo Massimo dal 15 giugno al 6 luglio 2021
Inizia la stagione operistica romana. A Caracalla? No, al Circo Massimo. Il tutto perde un po’ di magnificenza e spettacolarità nella scenografia naturale, ma pazienza. Il teatro si adatta ad ogni circostanza: questa la sua magia.
Platea d’occasione per la prima assoluta de Il trovatore verdiano, con la regia di Lorenzo Mariani e la direzione di Daniele Gatti. Il quale, con quest’opera, chiude il suo viaggio nella trilogia popolare del grande compositore (secondo quanto riportato, da sue dichiarazioni, nel programma di sala). All’ingresso del Presidente della Repubblica, tutti in piedi. Viene eseguito l’Inno nazionale: momento solenne e sempre sentito. Poi ci si siede e lo spettacolo inizia.
Sul palco, una scenografia scarna. Mariani la definisce “metafisica, immateriale, onirica”, perché ha preferito inseguire e realizzare il mistero, affidandosi – e sono parole sue – “a una costante di elementi geometrici, antinaturalistici, a partire… dalle proporzioni del triangolo, perfette per un’opera in cui Verdi sa trasformare gli archetipi in passione viva”. Ma leggendo Jung o Zolla non s’apprende che alla base dell’esistenza ci sono proprio gli archetipi? Dove, quindi, la novità?
E quindi: sgabelli, panche, tavole più o meno lunghe. Tutto in legno e con colori fondamentali: bianco e nero. Contrapposizione tra bene e male?
Il resto dell’impianto scenico è affidato a uno schermo che, di volta in volta, riproduce un cielo stellato o coperto di nubi, una fiamma vivace o ridotta a minuscolo lumicino.
Gli interpreti, rappresentando la storia disgraziata di Manrico e il Conte di Luna che si fronteggiano fino alla morte per amore della stessa donna e senza sapere di essere fratelli, s’adattano a questa elementarità fortemente voluta dal regista. Tutti sono distanti dalle passioni, non ne sono invasi. Le delineano. O meglio le raffigurano come i ritrattisti i loro modelli: vale a dire osservando da lontano. Ma il re dello straniamento, Brecht, non diceva che di tanto in tanto il teatro vuole meno razionalità e più immedesimazione?
In questo Trovatore che rievoca – mutatis mutandis – l’austera ma incantevole freddezza di Piero della Francesca, svettano le voci di Manrico (Fabio Sartori) e Leonora (Roberta Mantegna). Il primo, pur perdendo un po’ in potenza negli acuti, ha dato vita ad un’interpretazione ferrea, convinta, coraggiosa: un Manrico pieno di dignità d’altri tempi. La seconda, con modulazioni maestose e sempre con una pulizia di suono a dir poco incantevole, ha tratteggiato una Leonora che, a dispetto del contesto registico, ha rievocato le peculiarità di una donna scaltra ma devota e, seppur solo apparentemente, prona allo strapotere maschile.
Discreta, nel complesso, la direzione di Gatti. Coerente col suo stile: pacato, che non concede virtuosismi; e che segue la partitura, colorandola qui e lì di tenui schizzi di colore, mai di tinte decise.
Un Trovatore buono nell’insieme. Forse troppo razionale? Magari eccessivamente essenziale e non così metafisico?
Pierluigi Pietricola