musica: Giuseppe Verdi
direttore: Yves Abel, regia: Massimo Ranieri, scene e costumi: Giuseppe Crisolini Malatesta
con Carmela Remigio / Ermonela Jaho, Giuseppe Gipali / Dario Schmunck, Dmitrij Hvorostovsky / Albert Schagidullin,
Daniela Innamorati, Miriam Artiaco, Angelo Casertano, Nicolò Ceriani, Domenico Colaianni, Stefano Rinaldi Miliani
orchestra, coro e corpo di ballo del Teatro di San Carlo
Napoli, Teatro di San Carlo, dal 21 al 29 giugno 2007
Napoli contesta la «Traviata» di Ranieri
La terza regia lirica del cantante non conquista il pubblico del San Carlo, a dispetto della sua eleganza e dell'ottima direzione del maestro Yves Abel Applaudito invece il bel cast
Il più atteso era lui, Massimo Ranieri: nella sua Napoli e soprattutto alla sua terza esperienza di regista lirico. Le prime due erano state altalenanti: velleitario il debutto con Cavalleria rusticana allo Sferisterio di Macerata, e brillante e disinvolto, con qualche gag non arbitraria l'Elisir d'amore con cui, a due passi dai vicoli della sua infanzia, Ranieri un paio di anni or sono affrontò il Teatro San Carlo, giocando tra l'altro con buoni esiti la carta sempre rischiosa dell'ambientazione moderna di un lavoro ottocentesco. E al San Carlo, lui è tornato l'altra sera con l'opera delle opere: staremmo per dire sua maestà la Traviata. Aveva annunciato una messa in scena rivoluzionaria, fornendo una serie di particolari sulla vita privata di Violetta che entra in loschi giri fin dall'adolescenza, e addirittura ipotizzando una sua relazione con il padre di Alfredo. In realtà (e per fortuna) tutto questo non è affiorato nella rappresentazione, e la regia è parsa, per usare l'aggettivo di prammatica, assolutamente tradizionale e adeguata all'impeccabile assetto scenografico di Giuseppe Crisolini Malatesta. Eppure il pubblico, che a Napoli non fa sconti a nessuno, alla fine ha dimostrato con qualche inequivocabile dissenso che la sua Traviata non gli era andata a genio; o quanto meno conteneva aspetti discutibili, soprattutto all'inizio e alla fine dell'opera, quando il regista pretende dalla protagonista più convulsi colpi di tosse che esaltazioni belcantistiche. O forse ha dato fastidio che nel secondo quadro del secondo atto Alfredo non si limiti a gettare la sua borsa ai piedi di Violetta ma, completamente ubriaco, infierisca su di lei, al punto di meritarsi che Giorgio Germont, suo padre, lo metta letteralmente al tappeto con un gancio degno di Cassius Clay. Per il resto, e almeno per quello che si è visto (non si può fare il processo alle intenzioni), la regia di Massimo Ranieri non ha presentato trasgressioni. È addirittura delicata anzi, nelle due scene già ricordate a proposito della tosse, la presenza di una bambina vestita da ballerina che attrraversa la scena alle spalle della protagonista: quasi la nostalgia di un'innocenza che a lei è mancata.
Ingiusti, poi, ci sembrano i dissensi espressi nei confronti della direzione di Yves Abel che forse non si solleva di molto dalla routine, ma approda a un certo ritmo e a un certo movimento e cura sufficientemente il rapporto fra l'orchestra e i cantanti. Questi invece hanno convinto anche gli spettatori più esigenti che non hanno lesinato gli applausi. A Carmela Remigio ad esempio, una Violetta gradevole nel timbro e a suo agio sia negli accenti emotivi che negli slanci di agilità. Molto apprezzato anche il Germont-padre di Dmitri Hvorostovsky: il suo Di provenza il mar, il suol… è stato il momento più applaudito dell'intera rappresentazione, anche se c'è da scommetere che in buona parte era un applauso (l'ennesimo) destinato a Giuseppe Verdi e ad uno dei suoi momenti magici. Buono anche l'Alfredo di Giuseppe Gipali, un po' forzato però negli acuti.
Virgilio Celletti