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TRAVIATA (LA) - regia Franco Zeffirelli

La traviata La traviata Regia Franco Zeffirelli

melodramma in tre atti
libretto di Francesco Maria Piave da Alexandre Dumas
musica: Giuseppe Verdi, maestro concertatore e direttore d’orchestra: Gianluigi Gelmetti, maestro del Coro: Andrea Giorgi
regia e scene: Franco Zeffirelli, costumi: Raimonda Gaetani, coreografia: El Camborio, ripresa da Lucia Real, disegno luci: Patrizio Maggi
con Angela Goergiuh / Irina Lungu / Myrtò Papatanasiu / Anna Rita Taliento, Vittorio Grigolo / Marius Brenciu / Alfredo Portilla, Renato Bruson / Dario Solari / Paolo Coni
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, Teatro dell’Opera, dal 20 aprile al 3 maggio 2007

www.Sipario.it, 30 aprile 2007
La Repubblica, 30 aprile 2007
Avvenire, 22 aprile 2007
Il Giornale, 22 aprile 2007
Corriere della Sera, 22 aprile 2007

Dieci rappresentazioni, tutte a teatro stracolmo per l'attesissima, nuova (ottava, per precisione) Traviata firmata da Franco Zeffirelli e caratterizzata sino a pochi giorni dalla prima da dubbi su nomi e date relativi agli interpreti dei ruoli di Altredo e Violetta. Erano tre i tenori previsti per le varie repliche: Alagna, Filianoti e Grigolo ma, depennato Alagna forse a causa dello sgarbo a Zeffirelli e al pubblico scaligero nell'Aida, è sparito dalle locandine anche il nome del bravo Filianoti (applauditissimo nel recente Werther romano), per cui alla prima e in alcune repliche il ruolo è rimasto a Vittorio Grigolo (in alternanza con i tenori Brenciu, Portilla e forse Malagnini). Quattro le Violette: dallo star system, preceduta dal gossip di clamorosi abbandoni di alcuni spettacoli, proviene Angela Gheorghiu che, scritturata per due recite, ha cantato solo alla prima, con buon successo, dichiarandosi però indisposta alla seconda, quella cui abbiamo assistito, nella quale è stata sostituita da Irina Lungu, già prevista per alcune repliche insieme a Myrtò Papatanasiu e ad Anna Rita Taliento. Con i baritoni, invece, nessun problema e, dopo Renato Bruson, saranno Dario Solari e Paolo Coni a vestire i panni di Germont. Nato in così tribolate contingenze, l'evento clou della stagione lirica capitolina ha però ugualmente ottenuto generali consensi: il maestro Gelmetti ha accompagnato i cantanti con affettuosa discrezione, nello spirito di una lettura dell'opera in cui la regia di Zeffrelli esalta Violetta come una santa martire dell'amore. Di qui la concertazione intima e intensa al tempo stesso, con qualche suggestivo rallentamento nei momenti di più commossa interiorità, mentre non mancano vigore e dinamismo nelle scene di festa. La giovane moldava Irina Lungu ha buona voce, educata, canta con intelligenza, si muove con disinvoltura ed ha le carte in regola per diventare una Violetta di maggior spessore vocale e interpretativo. Non manca a Vittorio Grigolo la baldanza tenorile, ma la sua voce e il suo stile di canto necessitano ancora di aggiustamenti. Cambia decisamente il discorso con Renato Bruson che, ad onta dell'implacabile calendario, con il suo Germont ha rinnovato nel pubblico il sempre più raro piacere di sentir cantare sui fiati, facendo veleggiare la voce sul respiro, rendendola duttile e docile ad ogni sfumatura espressiva. Un vero maestro, anche nella misurata signorilità della recitazione, giustamente acclamato dal pubblico fino alla richiesta, appagata, di bissare “Di Provenza il mare, il suol”.

Riprendendo un'idea già sperimentata, Zeffirelli fa alzare il sipario sullo struggente preludio mostrandoci la morente Violetta che nel letto del dolore rivive in un lungo flashback la propria esistenza. Di qui iI doppio binario su cui scorre visivamente l'opera: da un lato le scene festose, di massa, dall'altro quelle intime, dell'amore vero, tanto nude e spoglie quanto le altre sono rutilanti, gremite, movimentate e volutamente volgari, forse perché nel ricordo tutto si esalta e si ingigantisce. Ecco perciò l'eccesso di comparse, di figuranti, di luci, di cuscini, di candelabri, di tendaggi nella casa di Violetta al primo atto e, nel secondo, in quella di Flora, affollata sapientemente non soltanto da matadori e zingarelle, ma anche da maschere della Commedia dell'Arte, giocolieri, funamboli, spiantati nobiluomini, ricchi borghesi, donnine allegre e compiacenti in fantasiosi costumi, il tutto in una luce rossiccia diffusa da una fantasmagoria di globi rutilanti e caleidoscopici.

Qui rivive la Violetta immersa "di voluttà nei vortici" mentre l'altra, la santa per amore, si purifica nella spoglia semplicità della casa di campagna, fino ad apparire, quasi estatica, vestita di una candida tunica ed immersa in una luce celestiale nel finale del secondo atto, dopo il violento insulto di Alfredo. Ma è ancora il letto del dolore ad accoglierla nell'ultimo atto dell'opera e della sua esistenza. Questa, in sintesi, la lettura di Zeffirelli regista e scenograto, forse discutibile ma non priva di una logica coerenza.

Resta il solito dubbio: I'eccesso di godimento per l'occhio potrebbe andare a detrimento dell'orecchio? Grande successo.

Lucio Lironi

Violetta senza tormenti diventa subito martire

Il processo di beatificazione di Santa Violetta procede inarrestabile. Sempre più spesso, nelle “traviatine” e nelle “traviatone” di casa nostra, sul capino imparruccato di madame Valere scende anzitempo l’aureola della santa, mentre rimane in camerino, il più delle volte, la maschera della peccatrice. E così il contrasto tra eros e sacrificio, motore primo della drammaturgia verdiana, va (letteralmente) a farsi benedire. Alla regola non sfugge purtroppo la super Traviata re-immaginata da Franco Zeffirelli per il Teatro dell’Opera. Complice la voce sbiadita, piccina e priva di sensualità di Angela Gheorghiu (ciecamente identica a se stessa sia nel ruolo della cortigiana che in quello della redenta) la Violetta di Zeffirelli rinuncia al dubbio, al tormento, alla rabbia, indossa subito l’abito della santa martire (il letto di morte appare in scena insieme al preludio!) e sbianca fino al pallore la vis erotica di cui pure la partitura è straricca.
Ci prova Gianluigi Gelmetti, sul podio dell’orchestra di casa (assai ben preparata), a soffiare sul fuoco dei contrasti dinamici, agonici e timbrici. Ma gli interpreti sembrano prestargli scarso ascolto: Vittorio Grigolo disegna un Alfredo un po’ rigido e manierato, chiaro nel timbro e leggero nelle agilità, mentre Renato Bruson, ha da donare a Germont “soltanto” (anche se non è poco!) la sua sottilissima ars attoriale. Teatro vestito a festa e applausi di infinita lunghezza.

Guido Barbieri

Traviata superstar fra teatro e cinema

Applaudita la Gheorghiu, ovazioni e bis per Bruson Pubblico moltiplicato grazie alla diretta in 22 sale italiane: solo nella capitale la «prima» del lavoro di Zeffirelli è stata vista da 12.000 spettatori
di Virgilio Celletti
Platea gremita, palchi straripanti. Renato Bruson, al Teatro dell'Opera, non sa più dove girarsi a ringraziare per come è stato accolto Di Provenza il mar, il suol. Scorrono i secondi, interi minuti e il pubblico non si stanca: applaude, grida bravo e chiede il bis. Lui ha la mano sul cuore. Poi la protende verso il podio e concorda a distanza con Gelmetti la ripetizione dell'aria. Erano anni che non si sentiva un bis all'opera: l'ultimo che riocordiamo fu un Va pensiero nel Nabucco. Bruson è addirittura cresciuto rispetto all'esecuzione di qualche minuto prima. Il trionfo si ripete alla fine: la platea invece di svuotarsi si riempie ulteriormente perché vi confluiscono un altro centinaio di persone che hanno visto l'opera su un grande schermo in una sala del primo piano. Sono gli spettatori coinvolti nell'iniziativa del Comitato per le celebrazioni toscaniniane che ha organizzato la visione in diretta di questa Traviata in 22 sale cinematografiche dell'Acec, sparse nella penisola.
Grazie a ciò, i presenti alla "prima" romana sono diventati più di dodicimila. Il grande successo di Bruson nulla toglie alla prova degli altri due protagonisti. Quasi scontata quella di Angela Gheorghiu, una Violetta eterea fisicamente e convincente in entrambe le vocalità che il ruolo richiede: quella pura e virtuosistica del primo atto e quella lirica ed espressiva degli altri due. E una lieta sorpresa è stato l'Alfredo di Vittorio Grigolo. Il tenore ha compiuto progressi notevoli rispetto ai suoi esordi di qualche anno fa: ha ora un bell'accento lirico e affronta gli acuti con naturalezza. Ha anche una disinvolta presenza scenica, requisito questo che nella Gheorghiu è addirittura un punto di forza. Il loro applauditissimo exploit si basa su due rassicuranti presupposti come la direzione di Gianluigi Gelmetti e la regia di Franco Zeffirelli. Il primo ha curato l'orchestra proprio in funzione del canto, immergendosi totalmente nello spirito verdiano, con l'eleganza nelle pagine brillanti e la grande chiarezza in quelle concitate. Tra l'altro ha ottenuto il massimo nel preludio del primo atto, che non solo è un ritratto musicale della protagonista ma giustifica e sottolinea, nella sua profonda malinconia, l'idea di partenza della regia. Zeffirelli infatti ha fatto alzare il sipario già alle prime battute del preludio. E ci ha mostrato una Violetta agonizzante con due atti di anticipo. Cosicchè tutto quello che vediamo dopo, le feste, l'amore, i rancori è soltanto un ricordo, un patetico addio. Non rassegnazione ma impotente ribellione.

Bruson, trionfo con bis all’Opera di Roma da Roma

Ciò che è accaduto all’Opera di Roma, alla prima della Traviata, diretta da Gianluigi Gelmetti con la regia di Franco Zeffirelli, è da annali del melodramma: per la prima volta, Renato Bruson, cinquant'anni in scena con immutata classe e padronanza stilistica, applaudito lungamente e come non s'era mai sentito nel ruolo di Giorgio Germont, ha dovuto bissare Di Provenza il mare, il suol, quell'aria suadente, a detta dello stesso Verdi «il più bel cantabile per baritono che abbia mai scritto». Finora, s'era fatta qualche eccezione solo per il Va pensiero dal Nabucco, infinite volte bissato e - si dice - anche alla prima assoluta scaligera; una seconda eccezione, recente, nonostante che qualcuno abbia storto il naso e qualcun altro gridato alla scandalo e al sacrilegio: Juan Diego Florez, alla Scala, ha bissato la sua impervia cabaletta Pour mon ame dalla Fille du régiment di Donizetti; stessa felicissima sorte ora è toccata alla Traviata, la prima volta nella storia del melodramma verdiano.
Perché meravigliarsi? La richiesta di un bis a squarciagola è segno tangibile della attualità del melodramma e della sua grandezza ma anche pratica dimostrazione che il melodramma sopravvive solo con grandi interpreti. E gli onori tributati a Bruson, meritatissimi, senza nulla togliere agli altri ottimi protagonisti della serata, erano l'omaggio spontaneo a un autentico monumento del melodramma.
Nulla da eccepire sulla protagonista Angela Gheorghiu, interprete credibile, piena di temperamento e di gran fascino vocale nelle vesti dell'eroina verdiana, alla quale forse il successo personale grandissimo di Bruson non è andato giù. Dopo un avvio un po' scialbo man mano che l'opera procedeva - esemplari il second'atto e il terzo - anche lei ha dimostrato di meritarsi pienamente la stima di cui gode nel mondo.
E bene va detto anche di Vittorio Grigolo, nel ruolo del giovane focoso Alfredo. All'Opera di Roma è approdato per vie tortuose. Per le prime due recite era scritturato Roberto Alagna, marito della Gheorghiu, il quale, dopo il fattaccio della Scala, e forse in ragione di quello, si è defilato; al suo posto è stato chiamato il giovane Giuseppe Filianoti, il quale, avendo accusato un malore, si è defilato pure lui, lasciando il posto a Grigolo, giovane tenore romano, in possesso di mezzi vocali di bello squillo, prestante, amante focoso e appassionato.
Insomma sotto il profilo vocale una di quelle serate che ti convincono, nonostante i problemi del settore, della vitalità del melodramma. Gianluigi Gelmetti questa volta ha fatto centro, disegnando un «preludio» trasparente ma già carico di tragedia e tinte vivaci per i rari momenti di gioia e di festa, scolpendo, infine, quella straordinaria «marcia funebre» verdiana che accompagna gli ultimi momenti, tragicamente felici dei due amanti. E poi Franco Zeffirelli, regista e scenografo, con la sua ottava Traviata, figlia di quella di Busseto, esemplare, anzi miracolosa sotto ogni profilo. Nel viaggio da Busseto a Roma, qualche cambiamento l'ha subita, ma la regia romana era già tutta lì. Zeffirelli ottiene dai cantanti intensità, partecipazione, naturalezza come nessun altro oggi.
Belli i costumi di Raimonda Gaetani, danze travolgenti di El Camborio; applausi a scena aperta per la festa mascherata in casa di Flora, ben interpretata da Katarina Nicolic. Si replica fino al 3 maggio.

Pietro Acquafredda

Il direttore sfata il mito della presunta ineseguibilità dell' opera verdiana
Gelmetti, «Traviata» non velleitaria

Quando si parla della Traviata, il primo obbligo è ricordare che le tre più grandi protagoniste dell' Opera dopo il 1945 sono state Magda Olivero, Renata Tebaldi, Montserrat Caballé. Rivolgiamo un tenero pensiero misto di rimpianto alla «signorina Renata»; gli altri due soprani sono fra noi e inviamo loro un devoto e affettuoso saluto. Qui ci occupiamo del capolavoro di Verdi che in questi giorni, e fino al 5 maggio, con un alternarsi di compagnie, si allestisce al Teatro dell' Opera di Roma sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti. Regia e bozzetti si debbono a Franco Zeffirelli, i figurini a Raimonda Gaetani; e su questo, se non per dire ch' è raro trovarsi di fronte a tale incompatibilità fra impostazione musicale e scenica, mi fermo giacché trovarmi nei panni del pubblico ministero di Zeffirelli m' infastidisce quanto il trovarmi in quelli del suo zelatore. M' interessa invece parlare di musica e di voci. Qui va subito detto che «la» Traviata, dal punto di vista del direttore d' orchestra, modello per tutti i tempi a venire, è quella diretta con l' orchestra dell' EIAR di Torino nel 1952 da Gabriele Santini, il quale impone la disciplina musicale a Maria Callas, poche volte altrettanto grande. E' un' incisione ove più curata è la parte musicale più senti credibile e atto davanti ai tuoi occhi il teatro; incisione del genere esempi supremi del quale sono La forza del destino di Marinuzzi e la Tosca di De Sabata. Dopo, sono venuti Georges Prêtre, Carlos Kleiber e Riccardo Muti. Il primo ha inciso l' Opera con la Caballé e Carlo Bergonzi dandone la versione più elegante e delicata di tutte; il secondo ha diretto meravigliose Traviate dal vivo e incisone una mediocre; il terzo, nello strenuo sforzo di ricercare la verità drammatica e la rifinitura musicale, ha concertato varie e diverse letture dell' Opera e da lui ne attendiamo ancora una definitiva che sia degna di quella del maestro Santini. Gelmetti torna dopo 15 anni al teatro musicale di Verdi. Siccome scaturita dalla sua lettura, e con la compagnia di canto che mi sono scelta, differente da quella della «prima» di venerdì, fatta per palati grossolani, la Traviata romana è importante. Il principal risultato che l' edizione consegue, da mettersi in un' ordinata esposizione qual tema conclusivo, è di sfatare l' interdetto sul titolo, in altre parole di negare la presunta, spesso purtroppo constatata per vera, attual ineseguibilità dell' Opera. Il maestro ha tanta arte, tanta esperienza, idee così chiare, lascia così pochi residui fra intenzioni interpretative ed esiti conseguiti, da non dover temere d' apparire velleitario per il suo porsi, oggi, dopo nomi così formidabili; ai quali converrà aggiungere quello di Iuri Temircanov, prossimo interprete del capolavoro al Festival Verdi di Parma di quest' anno. Gelmetti ha l' istinto e la razionalità dei giusti tempi sia in senso strettamente musicale sia sotto il profilo drammatico sia, infine, nel rapporto con la tradizione; la sua tendenza alla sobria o concitata serratezza si accompagna alla rara capacità di dar aria al canto, nel rallentare e impellere in ciò che è accompagnamento solo di nome. I complessi romani dei quali il nostro maestro è fino al prossimo anno direttore acquisiscono sotto la sua guida il rango di grande orchestra sinfonica; di rifinitissimo suono sono le prestazioni dei corni, dell' oboe e clarinetto soli. Mi sono scelto, ripeto, una compagnia di canto di mio gusto, fatta di giovani artisti formati dal concertatore e di eccellente qualità. Il baritono, Dario Solari, pare di qualità addirittura eccelsa, e lo chiameresti un Bastianini per la bellezza del timbro e il volume se non fosse del compianto artista più intonato: e poiché un baritono non si valuta dalla Traviata, uno dei rari titoli di Verdi ove egli col baritono non s' identifichi, lo attendiamo alla prova successiva con la raccomandazione di non sprecarsi se davvero è il gioiello che sembra. Il tenore Vittorio Grigolo è delizioso per dizione e timbro: dovrà lavorare a rafforzare la tessitura acuta; il soprano Myrto Papatanasiu ha timbro piacevolmente asprigno, ampia linea di canto, belle colorature ed equilibrio nell' impiego del «vibrato».

Paolo Isotta

Ultima modifica il Mercoledì, 17 Luglio 2013 08:55
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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