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TRAVIATA (LA) - regia Robert Carsen

"La traviata" - regia Robert Carsen. Foto Michele Crosera "La traviata" - regia Robert Carsen. Foto Michele Crosera

di Giuseppe Verdi
Regia Robert Carsen
Direttore Diego Matheuz
Coreografia Philippe Giradeau
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Venezia, Teatro La Fenice 7 dicembre 2014

www.Sipario.it, 14 dicembre 2014

La traviata è un'opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dalla pièce teatrale di Alexandre Dumas (figlio) e fa parte della "trilogia popolare" assieme a Il trovatore e a Rigoletto. Sulla scia della denominazione "popolare" (denominazione oggi delicata) attraverso la quale Verdi cercava nuove strade interpretative tra opera e teatro per creare un suo linguaggio che potesse fondere la tradizione del belcanto alle esigenze recitative e di modernità che lo tormentavano assieme al fedele librettista, drammaturgo Piave, il Teatro La Fenice ne fa una "Traviata" da record con più di cento repliche al suo attivo, e da quanto ci è dato capire, tante altre ne verranno in futuro a corredare quel grande palcoscenico mondiale che è Venezia, guardando verso l'EXPO.

Come si sa la vicenda originale di Dumas parte dalla fine del dramma verdiano. Una fastosa casa orami in rovina viene messa in vendita causa debiti, un compratore in visita viene informato della tragica storia di una bella signora dedita alla "vita" e morta per la tisi dopo aver combattuto la vita per una scelta d'amore. Incuriosito dalla vicenda cerca le informazioni necessarie e dal racconto nasce, a forza di flashback, la tragica storia d'amore, attraverso la quale si riflette anche il ritratto di una società di moralità ipocrita, che da una parte godeva e dall'altra giudicava.

Verdi sempre attento alla contemporaneità scrive un accorato appello al Piave: « Ti prego dunque di adoperarti affinché questo soggetto sia il più possibile originale e accattivante nei confronti di un pubblico sempre teso a cercare in argomenti inusuali un confine alla propria moralità ». Il Maestro desiderava anche che l'opera venisse recitata in abiti moderni. Un chiaro segnale di come fosse al passo con i tempi, tempi che ahimè, hanno superato ogni previsione. Un accorato appello come quello del Maestro cadrebbe, oggi, ai primi titoli di giornale, e di fatto anche la censura del tempo spostò la vicenda a 200 anni prima.

Bene fa il regista Robert Carsen ad ambientarla in abiti contemporanei, come prescritto, verso gli anni '80 in un simbolico american/style indefinibile, ma segno concreto dello sviluppo economico in corso in quegli anni e a dipingere tutta la scena di color verde: il dollaro. Lo scenografo e costumista Patrick Kimmonth crea quindi una enorme camera da letto, quella di Violetta, che diventa a sua volta posto delle feste, luogo del piacere, della perdizione, della morte. L'ideazione della scena pone solo qualche limite al movimento delle masse e dei ballerini che si sovrappongono e si intruppano nell'unica uscita prevista. Scene per l'altro mal illuminate. Una scenografia simbolica e soldi che spuntano da tutte la parti per invadere la scena e confermare quel valore "vuoto" che si è appropriato della vita di Violetta. Denari ovunque che veleggiano in maniera anche ossessiva e ogni tanto un po' troppo didascalica. Segno, simbolo di una umanità che per quel valore qualunque cosa farebbe. Color del dollaro sono anche le tappezzerie della stanza di Violetta. Stanza che si trasforma alla fine dell'opera in un orrido cantiere: pareti denudate, teli di plastica, bidoni e operai che ignari e impietosi vanno e vengono per ripulire la stanza, con Violetta oramai morente.

Per adeguarsi ai tempi moderni il giovane Alfredo diventa un fotografo-reporter che con i suoi scatti sulla scena immortala la drammatica vicenda di Violetta. Ne nasce un mondo votato oggi più all'adorazione dell'immagine che ai suoi valori. Circondata da papponi colorati, divette, mezzi-mafiosi, puttanieri e cocainomani, la vita di Violetta scorre veloce, come scorre la vita di oggi, tra avidità, tradimenti e ipocrisie. Tutto scandito in nome del dio danaro.

Il Maestro Diego Matheuz, direttore principale della Fenice, dirige i cantanti e l'orchestra con mano leggera e poetica. Li guida nell'intreccio della partitura con grande facilità e supera con loro tutte le "belle" difficoltà canore ed esecutive che l'opera nasconde. Il cast è formato da Francesca Dotto (che dà voce e corpo a una potente e drammatica Violetta) Leonardo Cortellazzi (un Alfredo passionale dalla bella voce) e Marco Caria il padre Germont, (di gran presenza scenica e vocale)

Il pubblico in sala, con un' alta partecipazione internazionale, e tanti abituè dimostrano di gradire l'esecuzione con calorosi applausi.

Mattia Sebastian

Ultima modifica il Lunedì, 15 Dicembre 2014 15:28

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