DI Franz Lehar - libretto di Victor Léon e Leo Stein
Con Anastasia Bartoli, Alessandro Safina, Nicolò Ceriani, Rosalia Cid, Marco Ciaponi, Max René Cosotti,
Askar Lashkin, Stefano Consolini, Luca Gallo, Silvia Celadin, Dario Giorgelé,
Giovanna Donadini, Antonio Feltracco, Alice Marini, Daniela Mazzucato
scene, costumi, luci, coreografia Paolo Giani Cei
Orchestra Regionale Filarmonia Veneta diretta da Francesco Rosa
Cantanti del Coro Lirico Veneto
Ballerini di Padova Danza Project
regia Paolo Giani Cei
produzione Comune di Treviso, Teatro Mario Del Monaco, Comune di Padova
Treviso, teatro Mario Del Monaco, 8 e 10 aprile 2022
Tra gli intermezzi, che fra loro egregiamente coesistono a ventaglio, l’operetta si racconta (come genere) fra divertissement e storie d’amore, gelosie e ripicche e tanto altro. “La vedova allegra”, messa in scena da Paolo Giani Cei con un’attenta e ottima regia, in effetti di queste rimembranze ne è piena. Storie qualche volta amare ma perlopiù d’effetto, dove le gioie e il bel finire vanno a braccetto con il bel canto e la danza, su musiche di compositori riconosciuti. Che l’operetta in questione sia stata la preferita da Adolf Hitler in realtà non vuol dire niente di che, in quanto il libretto e la musica richiamano a un mondo che non c’è, a esistenze leggere e leggiadre dove il massimo della pena è, spesso in principati o giù di lì, il tormento amoroso deviato in tradimento. L’ambientazione è quella del piccolo e immaginario, per certi versi conturbante regno di Pontevedro, dove si muovono personaggi ricchi di sfumature e desiderosi soprattutto che i tanti denari ereditati dalla vedova Hanna Glawari possano rimanere in quel territorio, per l’economia del regno. Tutti si danno un bel daffare, dal barone Mirko Zeta a Njegus, al conte Danilo Danilowitch, prescelto dalla comunità come pretendente per diventare il nuovo uomo a fianco dell’affascinante Hanna. Tra mille e più intermezzi, come chiamati a inizio articolo, mille e più ancora accadimenti tutti interni che vanno dai progetti matrimoniali alle ricchezze appunto da salvaguardare, dalle serate a Chez Maxim (del conte, imparagonabile donnaiolo) ai corteggiamenti qui e là messi ad amo, i giorni nel piccolo regno di fantasia scorrono e si infittiscono ma è evidente che l’amore deve vincere, e che tutte le carte devono ritornare al loro posto, tradimenti presunti compresi. E’ il bello dell’operetta che in questo specifico caso, tra la musica di Franz Lehar e le sue arzigogolate arie, e un suggestivo testo-libretto parla al pubblico di un mondo dove vige la bellezza del vivere, senza accorgimenti tragici (veramente tragici intendo) di nessun tipo. All’operetta si va e si torna leggeri, non privi di un certo incanto che ben relaziona, e anche in questo caso succede. Merito certamente della già citata regia del giovane Paolo Giani Cei, curata e misurata sui personaggi, merito dei costumi eleganti e ricchi di colori, e di una scenografia improntata al grande stile dove trionfa un’enorme (a mo’ di esempio) bottiglia che versa su un grande calice del prosecco d.o.c., oltre a una scalinata impervia e illuminata. Tre atti che, a dire il vero con pochissime pecche, sanno regalare dolcezza e allegria, rivisitati come un compito diligente da parte di tutti, ai quali va riconosciuto l’impegno di un lavoro così possente, trascinante, dove come si sa devono conciliarsi tutte le parti, e qui c’è in ballo il canto, la musica, la danza, discipline certo di non poco conto soprattutto messe assieme per il risultato finale. SI chiama operetta, appunto, può piacer molto o poco ma qual che è certo è il lavoro svolto alla base. Alcune caratterizzazioni sono piacevolmente espresse, come quella di Njegus, ovvero Max René Cosotti, applauditissimo, o quella de la Diva Italiana, Daniela Mazzuccato o del giovane Marco Ciaponi e del suo Camille De Rossillon, ma tutti fanno bene il loro dovere, dove anche il saper ben cantare di Anastasia Bartoli e Alessandro Safina riempiono la scena con eleganza, e raffinate note. Grande successo a Treviso, lo spettacolo si replicherà a dicembre a Padova.
Francesco Bettin