di Sofocle
Traduzione di Walter Lapini
Regia di Luca Micheletti
Musiche originali: Giovanni Sollima
Scene e Luci: Nicolas Bovey
Costumi: Daniele Gelsi in collaborazione con Elisa Balbo
Maestro del coro: Davide Cavalli
Altro maestro del coro e maestro di sala: Marcello Mancini
Coreografie: Fabrizio Angelini
Aiuto regista: Benedetto Sicca. Assistente alla regia: Francesco Martucci
Assistente scenografo: Eleonora De Leo. Assistente costumista: Andrea Grisanti. Direttore di scena: Giovanni Ragusa
Assistenti volontari alla regia: Andrea Triaca e Gianni Giuga
Interpreti: Atena/Messaggero: Roberto Latini. Odisseo: Daniele Salvo. Aiace: Luca Micheletti
Tecmessa: Diana Manea. Eurisace: Arianna Micheletti Balbo. Teucro: Tommaso Cardarelli
Menelao: Michele Nani. Agamennone: Edoardo Siravo. Ate/Thanatos: Lidia Carew
Coro di marinai Corifei: Giorgio Bongiovanni, Lorenzo Grilli, Mino Manni, Francesco Martucci
Coreuti: Giovanni Accardi, Gaetano Aiello, Ottavio Cannizzaro, Pasquale Conticelli, Giovanni Dragano,
Raffaele Ficiur, Gianni Giuga, Paolo Leonardi, Marcello Mancini, Marcello Zinzani
Produzione: Fondazione INDA Onlus
Teatro greco di Siracusa dal 10 maggio al 7 giugno 2024
Chi tocca gli Atridi muore: ucciso per mano loro, oppure suicida per mano propria, come fa Aiace nell’omonima tragedia di Sofocle, messa in scena in modo splatter da Luca Micheletti che ne veste i panni, ambientando la prima parte su una scena (quella di Nicolas Bovey) somigliante ad un mattatoio per via dei larghi lenzuoli macchiati di sangue che dall’alto si si dispiegano sino sulla skené. Si suicida dunque Aiace per punire a suo modo Agamennone e Menelao (rispettivamente Edoardo Siravo e Michele Nani che appariranno solo nel finale) per non avergli donato le armi del pelide Achille - ucciso da Paride con una freccia diretta nel tallone destro - e averle assegnate a Odisseo, carismaticamente vestito da Daniele Salvo dalla bella voce chiara e tonante, che dialogando con la dea Atena di Roberto Latini col viso impreziosito da dorate catenine, ha la conferma che è stato Aiace (lo stesso baritonante Micheletti, invasato dai demoni), ad aver scannato il bestiame, compresi i pastori che vegliavano i recinti: un modo per scaricare la sua rabbia contro quelle bestie credendo di avere fra le mani i corpi di quei due re achei. Forti sono i contrasti di queste tre figure: Atena è lieta di punire qualcuno che sciorina solo hybris, tracotanza ed empietà: Aiace pare gioire per la vendetta che ha compiuto, mentre il pio e assennato Odisseo ha solo compassione del suo nemico che ha compiuto una strage, presaga solo di fatali sventure. Quando poi Aiace torna in sé, la vergogna s’impossessa del suo corpo e per riscattare il suo onore e la sua reputazione, deciderà di togliersi la vita, perché solo così potrà acquistare il kleòs, la gloria imperitura dopo la morte e a niente serviranno le suppliche di Tecmessa di Diana Manea, principessa frigia diventata sua schiava e concubina, perché non compia quell’atto estremo. Si fanno apprezzare intanto i corifei guidati da Giorgio Bongiovanni, le musiche dei violoncelli misti a percussioni, arpa, clarinetto e trobone e le coreografie di Fabrizio Angelini e quei momenti in cui, calati giù quei lenzuoli imbrattati di sangue, la scena è occupata da un enorme scheletro con un gigantesco teschio e relativi dischi intervertebrali, buoni per far nascondere i tanti figuranti dell’Accademia del Dramma Antico, stranamente oscurati e spesso al buio, forse per indicazioni registiche. Ad impedire il gesto estremo di Aiace appare in scena il suo bambinetto e pure suo fratello Teucro (Tommaso Cardarelli) che non potrà impedire ad Aiace di darsi la morte con la spada di Ettore, l’eroe troiano che gliela aveva donato dopo il loro duello (narrato nel 7° libro dell’Iliade) interrotto perché s’era fatto buio. Ma non è finita qui, perché la tragedia ha pure, come l’Antigone, dei connotati morali e civili, lì dove Teucro volendo dare al fratello gli onori della sepoltura si trova davanti quei due Atridi, appunto Menelao e Agamennone, che vorrebbero lasciare marcire il corpo di Aiace nella polvere, intervenendo ancora una volta Odisseo a calmare gli animi, mettendo tutti d’accordo perché si compia con la sepoltura l’ultimo omaggio al defunto, accompagnato dai passi di danza del Thanatos di Lidia Carew. Vorrei ancora dire che questa tragedia di Sofocle man mano che vanno avanti i suoi versi, si avvertono meno le colpe di Aiace, quasi svaniscono, forse perché il drammaturgo ha voluto evidenziare l’infelicità di questo eroe, esaltare la sua figura e la sua magnanimità, anche se empia. Si avverte il dramma di Aiace più quando è savio che quando è folle e sono i suoi monologhi ad esaltare la sua sofferenza e il suo dolore. Si lamenta e invoca la morte, poi ragiona in modo implacabile e la morte gli appare necessaria, l’unico modo di salvare il suo onore. Aiace non può mostrarsi disonorato al cospetto di suo padre Telamone, né può andare in guerra contro Troia, vincere o morire per fare contenti gli Atridi. E la sua vita finisce come abbiamo scritto prima. Il Teatro greco di Siracusa non è come i Teatri al chiuso dove pochi applausi appaiono tantissimi, qui alla fine cinquemila spettatori battono le mani per almeno dieci minuti, gridano i tanti buuuu, chiamano i protagonisti per nome, giusto per scandire il successo d’uno spettacolo come certamente è accaduto per questo Aiace in scena a giorni alterni con la Fedra di Euripide sino al 7 giugno. Gigi Giacobbe