Di Annibale Ruccello
Regia di Claudio Tolcachir
Con Valentina Picello
Produzione: Carnezzeria/ Teatri di Bari/ Teatro di Roma
In collaborazione con AMAT & Teatri di Pesaro per RAM
Festival di S. Ginesio 2024
Auditorium Sant’Agostino 20 agosto 2024
Il nodo drammaturgico per comprendere Anna Cappelli di Ruccello è racchiuso in una frase che la protagonista dice al suo uomo mettendola in mezzo ad altre parole, quasi lasciandola andare: “Voglio che tu sia mio, che la casa in cui andremo a vivere sia mia”. Il desiderio di possedere qualcosa per sé è la costante fissa di questo personaggio. Una donna indubbiamente provata da una famiglia tutt’altro che felice, che è cresciuta con complessi di ogni tipo, che si è dovuta rendere indipendente con troppo anticipo perché ingiustamente maltrattata (così crede lei?), costruendosi un’esistenza priva delle basilari necessità: non per sua volontà, ma per cause di forza maggiore. Ruccello tutto questo lo rappresenta, come è il suo stile: per situazioni significative, attraverso le quali lo spettatore può ricostruire l’intera vicenda del personaggio. Perché per Anna è importante il possesso? Il testo di Ruccello mette in bocca al personaggio una motivazione che, ad oggi, sembra scontata ma che forse a suo tempo, quando la pièce venne scritta (nel 1986), poteva ancora non esserlo: perché se non ha qualcosa di suo, o peggio ancora se le viene tolto, lei si sente destabilizzata. Difatti, quando Anna è in affitto dalla signora Tavernini non sta bene, in quanto non ha nulla di suo. Quando s’innamora del ragionier Scarpa, benestante di famiglia, andando a convivere con lui nella sua casa, si illude di aver risolto tutti i suoi problemi. Gli chiederà di sposarlo, perché vuole che l’uomo che ha accanto sia suo, come la casa in cui vivono. Scarpa rifiuterà: desidera una convivenza priva di vincoli. E quando Anna cerca di imporgli il licenziamento della tata Maria, perché la vede ostile nei suoi confronti, Scarpa non ne può più: decide di andare via, trasferirsi in Sicilia. E da solo. Anna non può tollerare di perdere il suo uomo. E per ribadire il suo possesso, anche di un affetto, lo ucciderà e mangerà: così, dice nel finale, sarai mio per sempre. Claudio Tolcachir legge Anna come un nugolo di contraddizioni nate nella sua mente per un’esistenza sempre stroncata sul nascere, e perché mai rispettata come persona dagli altri. Spostando l’attenzione dalle componenti sociali a quelle psicologiche, Ruccello come drammaturgo acquista ad oggi maggior interesse, pur dimostrando poco mordente sulla nostra attualità. Dal canto suo, Valentina Picello ha fatto un lavoro interpretativo magnifico. La sua Anna Cappelli è stata, dall’inizio alla fine, un fascio di nervi trattenuto, dall’emotività a lungo soffocata e che tutti non hanno mai voluto sentire né considerare. Quel porgere le battute con voce che sta per rompersi e poi si riprende all’ultimo, quel tremolio delle gambe, quegli occhi lucidi di lacrime che mai hanno dato vita a un pianto vero: tutto questo ha ben reso l’idea di un personaggio che non riesce ad esistere e non può spiccare il volo. Per sua volontà, per colpe altrui? Spetta al regista rispondere a tale domanda. Su questo interrogativo, Tolcachir cala il sipario. Pierluigi Pietricola