da Sofocle, Anouilh, Cocteau
elaborazione drammaturgica in un atto unico e regia di Michele di Mauro
con Federica Genovese, Mariasole Mansutti, Giuseppe Manuel De Diomenico, Carola Colajanni, Fulvio Cauteruccio,
e con Livio Bisignano, Simone Corso, Gabriele Crisafulli, Francesco Tozzi,
Lucia Cammalleri, Stefania Di Pietro, Valentina Illuminati, Maria Marinio
scene e costumi Giulia Drogo
Barcellona Pozzo di Gotto (ME) nel nuovo Teatro Mandanici, 7 – 8 febbraio 2015
L'ultima volta che avevo messo piede nel costruendo Teatro Mandanici di Barcellona Pozzo di Gotto, ancora a cantiere aperto, era l'agosto del 1986 e lo spettacolo in programma, Didone Asdonais Domine, era stato ideato dal pittore-drammaturgo Emilio Isgrò originario di quelle parti, messo in scena da Memè Perlini con la scenografia di Antonello Aglioti e interpretato da una grande attrice che di nome fa Francesca Benedetti. Adesso, dopo quasi trent'anni, quel Teatro che ricordo rustico e dalle pareti imbrattate di cemento grigio, è stato ultimato e ha ripreso a vivere in tutto il suo splendore, disponendo di quasi mille posti tappezzati di rosso e sistemati a guisa di semiluna con la platea collocata in quell'area inizialmente prevista per la scena centrale. E' stato un ConcertoOpera con sinfonie e cori di opere liriche italiane ad inaugurare la struttura il 6 dicembre scorso, cui ha fatto seguito una vera e propria stagione teatrale, allestita dagli stessi dirigenti del Teatro di Messina. Ecco dunque l'@ntigone (si proprio con "A" diventata una chiocciola), in un bel lavoro di regia compiuto da Michele Di Mauro, sua pure l'elaborazione drammaturgica attinta dal testo di Sofocle per ciò che riguarda il Coro, utilizzando come impalcatura portante la versione di Anouilh e piluccando da quel libretto d'opera di Cocteau, sul medesimo argomento, scritto per l'opera lirica in tre atti di Arthur Honegger. Certo qui, al Teatro Mandanici, le scene non erano di Picasso e i costumi di Coco Chanel, come nella versione di Cocteau-Honegger, ma semplicemente di Giulia Drogo (suoi pure i costumi) che rendevano ugualmente in modo efficace l'idea del dramma - neon in fondo alla scena nuda popolata da un nugolo di sedie tutte diverse e di varie dimensioni - trattato calviniamente da Di Mauro con molta "leggerezza", con tanto di canzoni di Frank Sinatra, una colonna musicale da thriller tipo Velluto blu di David Lynch, innesti jazz e rock. Un atto unico di quasi due ore, con un epilogo da suspense per quei tre suicidi finali compiuti da @ntigone, dal suo fidanzato Emone e dalla madre di quest'ultimo, Euridice, moglie di Creonte re di Tebe. Le varianti apportate da Di Mauro (con l'aiuto di Annibale Pavone) riguardano alcuni episodi che si svolgono secondo il classico plot di Sofocle ma con i personaggi che assumono una connotazione psicologica più vicina ai giorni nostri. Così @ntigone, interpretata da un piccolo talento a me sconosciuto che si chiama Federica Genovese, è una ragazza selvaggia, ribelle, piccola e scontrosa, inquieta e insoddisfatta, desiderosa sola di dare un senso alla propria vita. Dice d'essere gelosa della sorella Ismene (Mariasole Mansutti), e non sa perché vuole sposarsi con Emone (Giuseppe Manuel De Diomenico) manifestando un infantilismo irriducibile, evidenziato chiaramente da Di Mauro inserendo in scena una bambina (Carola Colajanni) quale segno di purezza della nostra eroina, che ad un tratto bisticcerà col fidanzato cacciandolo via in modo irragionevole. Creonte, vestito superbamente con voce calda, ironica e suadente da Fulvio Cauteruccio, rappresenta la ragion di stato, l'uomo di governo, incline al compromesso e a quell'arte della mediazione e della menzogna, rinvenibile tanto in Platone quanto in Machiavelli, secondo cui il fine giustifica i mezzi e le masse, ottuse ma irrazionalmente sensibili, devono essere manipolate. Non è un tiranno Creonte, sembra piuttosto un uomo di spettacolo, un lavoratore che persegue le ragioni della realtà e del buon senso. Di fronte alla notizia che il corpo di Polinice è stato seppellito "con una paletta da bambino vecchia e tutta arrugginita", sospetta una macchinazione dell'opposizione democratica. Questo sovrano fratello di Giocasta, e zio di @ntigone, non vede le ragioni per uccidere la nipote che ha voluto bene e alla quale da bambina ha regalato "la sua prima bambola" e sa che il sangue di una fanciulla potrebbe fare insorgere il partito avverso. La sua reazione ha toni paternalistici, giocando sulla giovane età e sulla magrezza della ragazza, più indicata a farlo diventare nonno che non a farsi uccidere. Il Coro intanto, quattro ragazzi e quattro ragazze con occhiali da sole (Livio Bisignano, Simone Corso, Gabriele Crisafulli, Francesco Tozzi, Lucia Cammalleri, Stefania Di Pietro, Valentina Illuminati, Maria Marinio) agghindati con una sorta di tuta nera, sopra la quale a tratti adageranno vestiti color rosso-sangue, funge da collante con i dialoghi dei protagonisti, allestendo in pochi secondi siparietti e luoghi appartati, stendendo a terra larghi drappi colorati, fissandoli sulle tavole del palcoscenico con delle cucitrici metalliche perché non provochino grinze. Ad un tratto Creonte si prende gioco del rito della sepoltura, per lui solo un "passaporto ridicolo" per l'aldilà, e per salvare la nipote le dice che se fosse dipeso da lui avrebbe già fatto seppellire suo fratello, ma non può farsi canzonare dai suoi rozzi sudditi che s'aspettano solo che quel corpo puzzi per tutta Tebe almeno per un mese. Al culmine del contrasto Creonte distrugge l'immagine dei due fratelli, di fatto svuotando di senso il gesto ingenuo e stupido di @ntigone, dicendole che i due fratelli, simmetrici nella violenza e nell'inganno, nient'altro erano che due ladroni che si sono uccisi in un volgare regolamento di conti e che dei loro corpi, ridotti in poltiglia, ne ha fatto raccogliere uno, il meno rovinato per i funerali nazionali, e ha dato l'ordine di fare marcire l'altro dov'era, non sapendo nemmeno quale fosse dei due. @ntigone sembra turbata e confusa, ma non si fa convincere dalle retorica dello zio e alla domanda del perché del suo gesto, risponde che l'ha compiuto solo per se stessa. Bello il dialogo tra i due, quando Creonte parlerà del senso della vita fatta di piccole cose e @ntigone rilancerà chiedendogli quali sacrifici dovrà compiere per raggiungere uno scampolo di felicità e se per riuscire ad acchiapparlo dovrà ipotecare se stessa, allora non vorrà più né la vita né la felicità, anche perché avendo un animo da bambina vuole tutto e subito, altrimenti è preferibile la morte. Anche il confronto tra Creonte-padre e Emone-figlio vive gli stessi sentimenti di rifiuto adolescente-adulto, illusione-disincanto, scoprendo Emone che suo padre non è onnipotente e che non potrà salvare la giovane promessa sposa dalla sua stessa ostinazione. Creonte cercherà di consolare il figlio, invitandolo ad accettare l'inevitabilità della situazione, dicendogli che essere uomo vuol dire vedere cadere tutte le illusioni e che nelle decisioni si è completamente soli. @ntigone diviene suo malgrado una figura cristologica e sacrificale. La tragedia si conclude con il Coro che, dopo aver steso per terra, con la stessa tecnica di prima, un lungo lembo di stoffa, sistemerà su dei supporti metallici una cinquantina di piccoli grembiuli rosa, celesti e bianchi, e la voce registrata di Gianna Nannini intonerà forte la canzone Sei nell'anima. Moltissimi applausi per i giovani protagonisti, parecchi al loro primo debutto, e successo per l'Ente Teatro di Messina che ha prodotto lo spettacolo.
Gigi Giacobbe