di Euripide
regia di Laura Sicignano
Riduzione e adattamento di Laura Sicignano e Alessandra Vannucci
Interpreti: Manuela Ventura, Egle Doria, Lydia Giordano, Silvia Napoletano, Alessandro Fazzino, Antonio Alveario, Franco Mirabella, Aldo Ottobrino, Silvio Laviano
Musiche originali eseguite dal vivo: Edmondo Romano
Scene e costumi: Guido Fiorato. Movimenti di scena: Ilenia Romano
Luci: Gaetano La Mela. Video e suono: Luca Serra
Regista assistente: Nicola Alberto Orofino
Produzione: Teatro Stabile di Catania
Prima nazionale: Teatro Vittorio Emanuele di Messina 7/9 gennaio 2022
Hanno un bell’inizio queste Baccanti di Euripide secondo Laura Sicignano di cui cura pure traduzione e adattamento assieme ad Alessandra Vannucci. messe in scena al Vittorio Emanuele di Messina: con una Manuela Ventura nei neri abiti androgeni del dio Dioniso, posta in alto d’una scala al centro del palcoscenico, agghindato per intero da foglioline verdi che, grazie ai video di Luca Serra, sembra ti arrivino addosso per essere poi riassorbite per incanto e ripiegarsi in alto e scomparire del tutto: evidenziando poi un ampio salone quasi museale con porte laterali e una serie nicchie sul fondo (le scene contemporanee sono di Guido Fiorato, suoi pure i costumi) occupate da un tris di fanciulle anch’esse in nero (Egle Doria, Lydia Giordano, Silvia Napoletano), una piccola rappresentanza di baccanti che si agita con un fare lascivo e sensuale. Nel prologo di Dioniso c’è già tutto il senso della tragedia lì dove recita che lui è giunto a Tebe per istituire il suo culto e vendicarsi delle zie, sorelle di sua madre Semele, ingravidata costei da Zeus dalla cui sua coscia partorirà proprio Dioniso come vuole il mito, attestando così le sue origini divine. Origini non riconosciute neppure da suo cugino Penteo (in giacca e cravatta quello di Aldo Ottobrino) diventato re di Tebe perché suo nonno Cadmo (Franco Mirabella) gli ha lasciato in eredità il trono. Adesso questo vecchio ancora in gran forma e in compagnia del cieco-non-cieco indovino Tiresia (alquanto allegrotto quello di Antonio Alveario che accenna a piccoli passi di danza, togliendosi ad un tratto pure la benda dagli occhi), si avviano come due clochard con tirso in mano sul monte Citerone per partecipare alle mistiche orge delle baccanti. Se i due vengono scherniti da Penteo,” cosa fate dove andate alla vostra età”, Dioniso viene deriso e imprigionato all’interno d’un armadio a vetri, liberandosi subito dopo in un niente, unendosi poi alle sue vampiresche seguaci. Giunge in scena il messaggero di Silvio Laviano con occhiali da saldatore in testa e guanto rosso nella mano destra, forse perché se l’è bruciato, raccontando al re i prodigi delle baccanti che allattano daini e cuccioli di lupi, che fanno scaturire acque dalle rupi, vino e latte dal suolo, miele dai tirsi, in grado pure di devastare contrade e ridurre a brandelli qualunque tipo di armento. È quasi un funereo segnale per Penteo che non riesce a cogliere il pericolo, tutto teso com’è a domare quelle belve senza alcuna morale. A questo punto Dioniso architetta la sua vendetta: fingendo di dargli buoni consigli gli dice di travestirsi da baccante, salire sul Citerone per osservare dall’alto d’un albero i selvaggi riti di quelle indiavolate e nello stesso tempo lo lobotomizza col pensiero. Una voce fuori campo racconterà che Penteo scambiato per un leone viene letteralmente sbranato e fra le baccanti c’è sua madre Agave (Alessandra Fazzino) che gli staccherà di netto la testa per infilzarla su un tirso in segno di vittoria. La poverina riacquisterà più tardi i sensi e piangerà a lungo il figlio morto mentre Dioniso uscirà di scena trionfante. Ormai è diventato un vezzo far interpretare il ruolo maschile di Dioniso ad un’attrice/donna. Lo abbiamo visto in tanti spettacoli passati e pure di recente al Teatro greco di Siracusa con la Fura dels Baus spagnola, ma ciò che resta dello spettacolo della Sicignano non sono quelle parti poetiche (invero qui poco evidenti) che erompono nei canti corali e nel racconto del messaggero, ma l’ebrezza dionisiaca delle baccanti, colte nel finale in una danza astratta con le musiche eseguite dal vivo da Edmondo Romano e il dramma dell’umana debolezza dinanzi alla potenza, certamente ingiusta e crudele, della divinità.
Gigi Giacobbe