con LEO GULLOTTA
di Francesco Niccolini
liberamente ispirato al racconto di Herman Melville
regia EMANUELE GAMBA
con GIULIANA COLZI, ANDREA COSTAGLI, DIMITRI FROSALI
, MASSIMO SALVIANTI, LUCIA SOCCI
scene Sergio Mariotti
costumi Giuliana Colzi
luci Marco Messeri
Produzione Arca Azzurra Produzioni
Roma – Teatro Quirino Vittorio Gassman Dal 29 marzo al 3 aprile 2022
recupero stagione 2019/2020
Per mettere in scena Melville, è bene ricordare le parole con cui Elémire Zolla lo descrisse: “Ogni volta mi trovo di fronte un testo inatteso… Accade che dove rammentavo un ghigno, scorgo un aleggiante sorriso, che dove mi era stampata in mente una condanna inflessibile, scopro un perdono soave. Via via che la vita si accumula, Melville si trasmuta. Tanti corsi universitari, una filza di scritti gli ho dedicato, ma a rileggerlo giungo alla conclusione che tutto andrebbe modificato”. Mutevolezza che non è semplice ambiguità, bensì attività metamorfica che s’accompagna alla nostra esistenza. Melville vuol essere scrittore della vita, e di essa afferra quel fluire perpetuo, quelle sorprese, quelle speranze, quelle delusioni che tradiscono la ragione rivelandole i suoi limiti. Sicché ogni suo scritto è a sé, ogni sua opera è sempre una prima opera. Non vi è continuità. Ciascuna storia che Melville racconta è l’inizio di un nuovo mondo, che sorge puro come l’acqua sgorga dalla sorgente.
Di tutto ciò Emanuele Gamba, firmando la regia della riduzione teatrale di Bartleby lo scrivano, non ha tenuto gran conto, appaiando quest’opera alla precedente e più nota al gran pubblico: Moby Dick. Si legge, nelle note, che Achab è ora Bartleby, il Pequod è l’ufficio seminterrato che fa da sfondo alla vicenda, l’oceano è il mare dell’economia e della produttività che Melville additò con la sua storia. E vien meno, del tutto abolita, l’essenza stessa del nostro scrittore individuata da Zolla.
Anche il personaggio di Bartleby, che a lettura ci si immagina né accigliato né felice, ma semplicemente qualcuno che sta al mondo senza, però, venirne coinvolto nelle dinamiche che attanagliano noi tutti, perde quell’essenza di anomalia, di bizzarria, di totale estraneità che nelle pagine invece possiede. E nulla compensa la recitazione misurata, vigile, raffinata e meticolosa di Leo Gullotta nei panni del protagonista, al quale conferisce una mimica facciale a metà via tra lo stralunato e colui che ride di tutto e tutti in quanto giunto ad una consapevolezza che gli altri ignorano. E anche il tormentone che nel romanzo suona, via via che lo si incontra, come sentenza spaventosa – I would prefer not to – senza sapere il perché né i motivi che hanno portato Bartleby a questa sua decisione, perde, nella riduzione di Francesco Niccolini, quest’aspetto che sa di tremendo, assumendone un altro che ha parvenza di semplice opposizione.
Perché? Perché il Bartleby di Melville, essendo romanzo, è descrizione e non azione come, invece, un’opera teatrale è. E questo personaggio noi lo conosciamo e percepiamo, nella sua candida terribilità, dal modo con cui l’autore ce lo descrive e racconta più che dalle sue azioni.
Rendere teatrale Bartleby avrebbe voluto dire essergli radicalmente infedele. Ciò che Niccolini e Gamba non hanno fatto.
E così lo spettacolo ha faticato a decollare, a imprimersi nella mente e nel cuore degli spettatori contrariamente a quanto avviene nelle pagine di Melville.
Pierluigi Pietricola