mercoledì, 26 giugno, 2024
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BANDITO DI MONTELEPRE (IL) - regia Alessio Bonaffini e Vittoria Micalizzi

"Il bandito di Montelepre", regia Alessio Bonaffini e Vittoria Micalizzi "Il bandito di Montelepre", regia Alessio Bonaffini e Vittoria Micalizzi

Liberamente tratto dall’opera in versi “La vera storia di Salvatore Giuliano” di Ignazio Buttitta
con Alessio Bonaffini e Vittoria Micalizzi
regia Alessio Bonaffini e Vittoria Micalizzi
scene e costumi Alessio Bonaffini e Vittoria Micalizzi
luci Alessio Bonaffini e Stefano Cutrupi
produzione Ass. Cult. I Martogliati
Teatro Dei 3 Mestieri - Messina, Prima nazionale 17 maggio 2024 

www.Sipario.it, 30 maggio 2024

Il teatro non era precisamente la meta. Nel palcoscenico i versi di Ignazio Buttitta trovano tuttavia una dimora oltremodo confortevole. La sua poesia, intrisa delle policromie di una Sicilia mai uguale a sé stessa, si presta a quella narrazione popolare che dosa e mescola canto, grida, lamento. 

“La vera storia di Salvatore Giuliano” era stata peraltro composta dal poeta di Bagheria nel 1963 per il cantastorie Ciccio Busacca. E aveva inteso restituire un bandito di Montelepre alquanto distante dal personaggio che era diventato da quando i cantastorie siciliani avevano preso a occuparsene. Leonardo Sciascia aveva inoltre rimarcato la coscienza civile, l’ideologia sulle quali si ergeva l’universo letterario di Buttitta.

Salvatore Giuliano non era più, come amavano dipingerlo le piazze, il diseredato che si scagliava contro i ricchi, contro lo Stato. La complessità dell’uomo, e della storia, che non potevano certo trovare agio nelle forme popolari, risultavano brandite dalla poesia. 

Ed è sul terreno, molte volte impervio, della musicalità dei versi di Buttitta che si gioca la partita di Alessio Bonaffini e Vittoria Micalizzi alle prese con il monologo “Il bandito di Montelepre”.

L’interpretazione dell’attore messinese è generosa, audace, emotivamente partecipe. Disseppellire due anime, quella di Salvatore Giuliano e quella, complicata e inafferrabile, della Sicilia di allora, di cui molto oggi ancora riverbera, era un’impresa che doveva necessariamente poggiare sulla fiducia incondizionata nei versi di Buttitta. E questo è ciò che Bonaffini ha fatto. Senza mai adombrarli con l’azione, senza imprimere loro alcuna teatralità di maniera. 

Solo la bellezza della poesia, nelle sue policromie ritmiche, lessicali, sintattiche, nelle persuasive venature dialettali, a ridisegnare un tempo e una storia. Solo un attore, dentro a quel tempo e dentro a quella storia, a rendere loro omaggio.

Ad ancorare i versi alla terra, inoltre, l’accompagnamento musicale di Vittoria Micalizzi che ha alternato al suono quasi ininterrotto della chitarra quello di darbuka, tamburo siciliano, mezza luna, tamburello da piede, double shaker, noci di cocco e campanellini vari.

Entrambi alla regia ed entrambi interpreti, Bonaffini e Micalizzi hanno narrato, dietro i rispettivi leggii, ciascuno adoperando il proprio linguaggio artistico: l’uno interpretando i versi di Buttitta, l’altra scortandoli, talora proprio replicandoli, in musica. 

E sono “Terra ca nun senti" di Alberto Piazza e “Cosa sono le nuvole" di Pier Paolo Pasolini a dare respiro alle parole mediante l’interpretazione di Vittoria Micalizzi. Una performance, la sua, misurata ed equilibrata. Ponendo argini all’impetuosità delle parole si è dato modo al pubblico di respirare, di metabolizzare il rapido affastellarsi degli eventi.

La Sicilia affrescata da Buttitta, oltretutto, veniva fuori dai versi già nella sua bestiale ferocia: il potere di pochi e la miseria di tanti, la sofferenza e il male che non risparmia, quello che sembra e quello che realmente è. Sono chiaroscuri infiniti. E la pietà rimane il comune denominatore.

Lo sguardo personale di Buttitta sulla vicenda di “Turiddu” si inserisce nel solco della tradizione cinematografica timidamente inaugurata da Aldo Vergano e proseguita, con risultati ben più ragguardevoli, da Francesco Rosi e Michael Cimino, pescando nel torbido dei fatti di Portella della Ginestra, dei legami tra Stato e mafia, del braccio armato del Movimento Indipendentista Siciliano, finanche dei presunti legami con il nazifascismo.

E non è un caso che, sul limitare dei versi e delle note, siano state chiamate in causa le “Cento Sicilie” di Gesualdo Bufalino. A realizzare un ritratto impossibile. Cognizione, del resto, cui non si sottrae lo spettacolo di Alessio Bonaffini e Vittoria Micalizzi, mentre dissotterra una storia e sa che tutto in Sicilia è parziale, approssimativo, confutabile. Tutto fuorché la poesia, la musica, il teatro. Tutto, insomma, fuorché la bellezza dell’arte, declinata nelle sue molteplici forme, ultimo baluardo di resistenza della civiltà.

Giusi Arimatea

Ultima modifica il Domenica, 02 Giugno 2024 14:42

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