Uno spettacolo di Alessandro Serra
da Henrik Ibsen
con Umberto Orsini e Lucia Lavia, Flavio Bonacci, Renata Palminiello,
Pietro Micci, Chiara Degani, Salvo Drago
Regia, scene, costumi e luci Alessandro Serra
produzione Compagnia Orsini e Teatro Stabile dell’Umbria
Treviso, teatro Mario Del Monaco, dal 31 gennaio al 2 febbraio 2020
Davanti, e dietro Solness, costruttore incallito e non studiato, va in scena l’infelicità sovrana, E’ timoroso delle nuove generazioni e probabilmente, appunto, anche della propria felicità visto come si pone di fronte alla vita, dalla quale comunque si è fatto martoriare non calcolando bene gli sviluppi delle sue azioni – pensiero. In questo bel testo del grande Ibsen, messo in scena dalla compagnia di Umberto Orsini con lo stesso mattatore, straordinario, c’è un affascinante a dir poco spettacolo che il regista Alessandro Serra firma con una maestria unica, che richiama le messe in scena dei grandissimi di un tempo, collocandosi di fatto tra loro, e questo non può che farci piacere. Tra battiti di macchina da scrivere amplificati, alte e grigie porte pareti che si spostano e vengono spostate anche dagli stessi attori, musiche sottofondo dosate che rivestono la cupa ambientazione e molto altro ancora, tra cui un rigore scenico assoluto che omaggia il teatro purissimo, Solness mette in mostra le sue inquietudini che partono da lontano, e che lo tormentano oggi più di ieri. Al suo fianco gli altri protagonisti, non amati, e la presenza della giovane Hilde, icona della giovinezza di un tempo, ora divenuta donna, che lo viene a trovare in casa. Una casa dove la presenza della moglie Aline è a scomparsa, come un fantasma va e viene nella sua cieca depressione scambiando dialoghi rassegnati e feroci col marito. E gli altri spazi scenici creatisi con la bellissima scenografia (sempre di Serra) di volta in volta diventano uffici e luoghi dove Solness incontra i suoi simili nel disprezzo pressoché totale. Lui si è fatto sugli altri, su quelle tragedie che man mano si dipanano nel dramma, compresa la sua personale, quell’incendio di casa significativi e quella perdita dei due figli non per il fuoco, a detta del costruttore, ma per il latte mancato della moglie nel più pieno e forte trauma psicologico trauma post incendio. Solness costruiva chiese, ora farà solo case. Saliva sul punto più alto dei suoi edifici, così dicono, senza problemi, ma ora saltano fuori le sue vertigini. Nella sua (in)sicurezza continua comunque a ignorare gli altri, a non dargli che pochi spazi anche professionali ignaro del prezzo che pagherà. E Hilde? La ragazza aveva avuto da lui una promessa, un tempo, che le sarebbe stato costruito un castello, un regno. Nella sua infelicità il costruttore viene in qualche maniera soggiogato dalla presenza della giovane, che lo porta in una direzione pericolosa e senza soluzione, dopo averlo convinto che i soli castelli da lei dettatigli rimangono la via per il non tormento. Ma è il contrario, la situazione si tira talmente fino al dramma completo finale. Fine di gloria, successo, soldi, vita. Umberto Orsini da’ al suo Solness naturalezza e gran tormento in modo naturale, confermandosi uno dei più grandi della scena. Lucia Lavia è Hilde, e la interpreta con grazia e irruenza decisa facendo di lei quel che già è, attrice piena, essenza e presenza. Chiara Degani e Flavio Bonacci, Kaja e Knut Brovik si meritano un encomio particolare per la loro misura e il tormento, ma alla fine è il lavoro corale, di tutti, che esce. Così da nominare anche gli altri bravissimi attori, Renata Palminiello consorte fantasma, Pietro Micci, il dottor Herdall e Salvo Drago, un Ragnar giustamente arrabbiato. Lo spettacolo si sposterà ora a Thiene, Arezzo, Genova, Roma, in una lunga tournèe, repliche da non perdere.
Francesco Bettin