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TRAGÙDIA. IL CANTO DI EDIPO – regia Alessandro Serra

"Tragùdia. Il canto di Edipo", regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra. Foto Alessandro Serra "Tragùdia. Il canto di Edipo", regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra. Foto Alessandro Serra

liberamente ispirato alle opere di Sofocle e ai racconti del mito
regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra
traduzione in lingua grecanica Salvino Nucera
con Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli, Jared McNeill, Chiara Michelini, Felice Montervino
voci e canti Bruno de Franceschi
collaborazione ai movimenti di scena Chiara Michelini
collaborazione al suono Gup Alcaro
collaborazione alle luci Stefano Bardelli
collaborazione ai costumi Serena Trevisi Marceddu
direzione tecnica Giorgia Mascia, tecnico del suono Alessandro Orrù, direzione di scena Luca Berettoni
costruzione scena Daniele Lepori, Serena Trevisi Marceddu, Loic Francois Hamelin
produzione Sardegna Teatro, Teatro Bellini, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro Due
in collaborazione con Compagnia Teatropersona, I Teatri di Reggio Emilia
distribuzione Sardegna Teatro – Danilo Soddu,
all’Arena del Sole, Bologna, 17 ottobre 2024

www.Sipario.it, 23 ottobre 2024

È teatro elevato a rito, è esperienza estetica e intellettuale che chiede di non emozionarsi. «La tragedia è mito che si fa teatro: non ci sono i sentimenti, ma gli archetipi dei sentimenti», scrive Alessandro Serra. È suono che va oltre la parola, è azione mossa dal suono, è coralità da cui emerge il singolo, parte della communitas e capro espiatorio per la salvezza della città. E’ semplicemente Tragùdia. Il canto di Edipo, per la regia di Alessandro Serra. Tragedia per antonomasia è quella di Edipo, «re e capro espiatorio, prescelto e reietto, figlio e marito, padre e fratello» e in questo gioco di antinomie si compie il rito e l’ebbrezza del tragico che salva, che insegna, che dice e che canta. Alessandro Serra – dopo il Macbettu in sardo – ha deciso di tradurre il testo sofocleo in grecanico e dalla musica di questa lingua/dialetto dai suoni antichi ha fatto scaturire il canto e la danza, l’uno e l’altra agiti da corpi ieratici, ma non statici degli attori, officianti il rito che si fa esperienza teatrale, stupore e macchina scenica. L’apertura è affidata alla Sfinge su un trespolo nero, sullo sfondo di una parete grigia antracite da cui entrano ed escono il coro e i personaggi della vicenda, incarnati da Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli, Jared McNeill, Chiara Michelini e Felice Montervini. Tutto vive di un movimento coreografico preciso al millimetro, tutto, nell’impianto scenico firmato dallo stesso Serra, deve portare lo spettatore ad assistere stupito e rapito a una sorta cerimonia che induce Edipo «circondato dalla luce nera della tragedia a riconoscere sé stesso e ad accecarsi, strappandosi gli occhi che non hanno saputo vedere la verità», si legge nelle note di sala. E proprio come nell’antica tragedia in cui il pubblico già conosceva la vicenda, per cui ciò che accadeva in scena richiamava non la curiosità dello svolgimento narrativo, ma l’intensità della forma, così in Tragùdia di Serra la vicenda nota di Edipo Re viene sciolta visivamente e drammaturgicamente con grande chiarezza: c’è Tiresia uomo e donna, c’è Polinice che scrolla la terra dal grande pastrano, c’è la consegna del piccolo Edipo al pastore, c’è quella lunga verga che uccide Laio e dà il via alla condanna di Edipo Re destinato a peregrinare col peso della colpa di aver ucciso il padre e giaciuto con la madre. La riconoscibilità visiva degli snodi narrativi della storia del Re di Tebe permette allo spettatore di godere e di immergersi nel canto e nel suono della lingua grecanica, permette di abbandonarsi alle immagini che prendono corpo dai movimenti del coro che commenta e fa, dice e crea, fino al compiersi della rivelazione e al pellegrinaggio di Edipo a Colono. Tutto in Tragùdia si tiene magicamente e con grande pensiero teatrale. Come non individuare qua e là citazioni registiche da Eimuntas Nekrosius a Peter Brook della Tempesta e del Sogno. Serra dimostra – ma già lo si sapeva – una profonda e articolata cultura teatrale, fa suoi codici e immagini e li rielabora, alla ricerca di quella trasformazione catartica che il teatro porta con sé dalle sue origini, anche nel momento in cui abbandona il rito e il mito per farsi racconto e rappresentazione. Di questo è convinto Alessandro Serra e affamato della forza estetica del teatro che possa veramente essere motivo di stupore, di fascinazione intellettuale e poi, forse, di cambiamento attraverso la conoscenza di sé, rivelata dal teatro stesso. E alla fine ci si ritrova al cospetto di pannelli tripartiti in grigio antracite che ricordano la Cappella Rothko con l’applauso che si accende pian piano, conferma ennesima che il teatro non può essere che teatro, esperienza estetica e intellettuale. 

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2024 13:05

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