di Truman Capote
adattamento teatrale Samuel Adamson, traduzione Fabrizia Pompilio
regia Piero Maccarinelli
con Francesca Inaudi, Lorenzo Lavia, Flavio Bonacci, Anna Zapparoli, Biagio Forestieri, Edoardo Ribatto, Giulio Federico Jatti, Cristina Maccà, Ippolita Baldini, Riccardo Floris, Pietro Masotti
scene Gianni Carluccio, costumi Alessandro Lai, disegno luci Marcello Iazzetti
produzione Gli Ipocriti
Teatro Goldoni, Livorno, 23-24 febbraio 2013
Si racconta che l'irascibile Truman Capote abbia perso le staffe quando Hollywood scelse Audrey Hepburn come protagonista della riduzione cinematografica del suo romanzo Colazione da Tiffany, al posto di Marilyn Monroe, l'attrice alla quale aveva pensato costruendo il personaggio dell'ambigua e turbolenta prostituta Holly Golightly. Per non dire del rovesciamento di segno del finale, con Holly che anziché lasciare malinconicamente Manhattan dopo irrequieti e deludenti rapporti amorosi, decide di accasarsi con l'amico Paul. Del resto, quale autore non si imbestialirebbe nel vedere tradito il senso della sua opera, che dopo il 1961 tutti ricorderanno per il tubino nero indossato con incantevole malizia dalla Hepburn, per la leggendaria Moon River composta da Henry Mancini e naturalmente per il consolante happy end. Capote intendeva invece riassumere e far incrociare in un tipico spaccato newyorchese un'umanità varia composta da artistoidi spiantati, politici, profittatori e criminali, con tutta una serie di contrasti sociali e sessuali. Per questo avrebbe forse apprezzato la messinscena proposta con audacia da Piero Maccarinelli, e basata sul rispettoso adattamento teatrale di Samuel Adamson. Tuttavia, cinquant'anni si fanno sentire e sebbene ancora vi sia chi possa scandalizzarsi per le nudità di Holly, sfoggiate da Francesca Inaudi come emblema di una libertà sensuale e sfacciata, o per l'omosessualità latente dell'amico scrittore William Parsons (interpretato da Lorenzo Lavia con squittii e mosse da nervosetto, per farne un alter ego di Capote), le dinamiche psicologiche del testo appaiono oggi abbastanza datate. Non si tratta di un problema di linguaggio: lo stile lepido e anticonvenzionale di Capote/Adamson non richiede un'attualizzazione in tal senso; da parte di Maccarinelli sarebbe opportuno invece un buon lavoro di forbici per snellire la trama e soprattutto per ridurre la leziosità di cui è carica l'interpretazione. Vocalità più robuste (qualità necessaria specialmente in caso di platee catarrose come quelle dei mesi invernali), movimenti più fluidi e tempi comici studiati con maggiore attenzione potrebbero salvare dall'appiattimento i lampi di cinismo e le oscurità grottesche offerte dalla storia di una prostituta che si concede a molti ma non all'unico che tiene a lei, che respinge il vecchio marito sposato quando era una ragazzina, che perde il fratello caduto in guerra e che finisce coinvolta in una storia di droga e mafia. Sempre sognando i gioielli di Tiffany's, per allontanare quel male di vivere che lei chiama le "paturnie".
Intelligentemente moderna la scenografia disegnata da Gianni Carluccio, che contiene su due piani tutti i luoghi della vicenda: l'appartamento di Holly, frequentato da facoltosi amici e amanti, la minuscola stanza di Parsons al piano soprastante, presa d'assalto da vicini invadenti, un bancone "a scomparsa" che sintetizza il bar di Joe Bell, ritrovo abituale, e naturalmente Manhattan, evocata dallo skyline proiettato sullo sfondo.
Poco più di due ore di spettacolo, diviso in due tempi, visto al Teatro Goldoni di Livorno domenica 24 febbraio 2013.
Carlo Titomanlio