scritto da Alessandro Benvenuti
con Alessandro Benvenuti, Paolo Cioni, Maria Vittoria Argenti
regia Alessandro Benvenuti
costumi Giuliana Colzi
luci Paolo Pollo Rodighiero
musiche Vanni Cassori
arredi di scena Lucia Socci
una produzione Arca Azzurra Teatro
Pistoia, Teatro Manzoni dal 12 al 14 febbraio 2016
PISTOIA - Il teatro come ragione di vita, scoperta di sé stessi, come luogo per creare molteplici realtà e immaginare altre possibilità dell'esistenza. Un vecchio attore di teatro, scomparso dalle scene da cinque anni, concede un'intervista a un suo giovane ammiratore. A prima vista, un fatto banale; che si trasforma ben presto in una movimentata pièce dove la realtà non è quella che sembra, e se è vero, come scrive il Sacchetti, che "questi Toschi ci sono tutti gavazzieri", va altresì notato come all'arguzia in Toscana si sappia unire anche un certo spirito di speculazione. Lo dimostra l'insolito, caustico e divertente Chi è di scena, scritto, diretto e interpretato da Alessandro Benvenuti, qui nelle vesti di un anziano attore di teatro ritiratosi dalle scene da alcuni anni, e rintracciato da un giovane ammiratore che ardisce d'intervistarlo. Alle loro spalle, una ragazza addormentata, presenza tanto silenziosa quanto inquietante. Da toni comici, a tratti surreali, prende le mosse una vicenda squisitamente teatrale, dove ognuno recita una parte che crede di aver scelto, o forse gli è stata assegnata dalle circostanze, in un crescendo di situazioni ora da commedia sofisticata, ora da dramma contemporaneo, ora da commedia dell'arte.
Cuore pulsante dello spettacolo, il "finto" confronto fra il vecchio attore e il sedicente giornalista, ognuno in panni non completamente suoi, ognuno con un proprio scopo. L'anziano e navigato attore, conduce il giovane, dall'apparente aria ingenua, lungo i crinali di una conversazione a tratti surreale, intrisa di humour anglosassone, a tratti dal sapore autobiografico - indulgendo nei ricordi del legame scombinato con i propri genitori, dei loro impacciati rapporti sessuali, delle loro piccole manie e idiosincrasie -, e a tratti permeata di dolci-amare considerazioni sull'assurdità dell'esistenza, sulle ingiustizie e le contraddizioni della politica, sulle storture di una società capace di compiere, per malvagità, qualsiasi azione. Una conversazione con repentini cambi d'atmosfera e fraseggi nonsense che ricordano il teatro di Ionesco, affiancati però da un tagliente umorismo à la Woody Allen (affettuosa la citazione da Manhattan "Lei crede di essere Dio", "A qualcuno dovevo ispirarmi"), e da ciniche osservazioni che non sarebbero dispiaciute a Oscar Wilde, una su tutte, il bisogno di allontanarsi dalla folla chiassosa; così infatti si spiegherebbe il suo abbandono delle scene. La vena comica di Benvenuti affiora nell'ironia scatologica che conferisce al dialogo una luce vagamente sinistra ("Dall'esoterismo alla prostata", come egli stesso afferma sul palco). Un ritmo drammaturgicamente efficace, che il pubblico mostra di apprezzare, e che sostiene lo spettacolo. A istillare i primi dubbi s cosa stia veramente accadendo, gli strani e fulminei comportamenti dell'anziano attore, che sembra minacciare di qualcosa il giovane intervistatore, anche grazie alla presenza di una ragazza addormentata nella stanza dove si svolge il colloquio, e che si adombra possa essere stata uccisa. L'atmosfera oscilla fra tensione e normalità, mettendo a dura prova la resistenza nervosa del giovane, fino a quando l'attore non fa riferimento a un suo testo scritto da poco, che ha per protagonista uno stalker, reo di aver a lungo molestata una ragazza, e che nel testo finisce egli stesso per essere ucciso in seguito alla vendetta di lei. È a questo punto che il giovane, spaventato, fugge dalla stanza, dopo essere stato minacciato di morte dall'attore. Ma la realtà non è quella che sembra, perché la ragazza sin lì rimasta immobile su una chaise longue, riprende vita e si avvicina all'attore, chiamandolo "zio". Si scopre come si sia trattato di una messinscena, per incutere spavento al giovane che ha molestata la ragazza, e l'anziano attore si è prestato al gioco per trarla fuori dai guai. All'affettuosa paternale sui rischi che si corrono a innamorarsi degli uomini sbagliati, segue una delicata scena nella quale la ragazza ricorda quando lo zio recitava ancora sul palcoscenico, del fuoco che ardeva nei suoi occhi, proprio come in questa messinscena.
Poco dopo, però, segue un altro coup de théâtre: la ragazza telefona di nascosto al giovane presunto stalker, ringraziandolo per l'aiuto e congratulandosi per l'interpretazione: il senso degli avvenimenti si capovolge di nuovo, poiché si scopre che la nipote ha organizzato tutto, per offrire allo zio un'occasione di rispolverare il suo talento artistico, che ha accantonato dopo un incidente automobilistico che gli ha fatto perdere l'uso delle gambe. E infatti, poco prima, ci si accorge come Benvenuti sia seduto su una sedia a rotelle, mentre prima ha sostenuto il dialogo su una normale poltrona. Ecco quindi che il teatro appare adesso anche come una ragione di vita, un mezzo per ritrovare la gioia di vivere. Ma il talento di Benvenuti non ha ancora finito di sorprendere il pubblico: infatti, nel monologo di chiusura, lo stesso attore rivela di aver intuito sin dall'inizio la messinscena, essendo rimasto poco convinto dall'atteggiamento del giovane, dal suo parlare in maniera troppo impostata, dal suo voler cercare "la giusta atmosfera". E però, trascinato dall'affetto per la nipote, decide come sia arrivato il momento di tornare sulla scena, di rialzarsi, metaforicamente o meno; come mostra la scena finale, con l'attore che cerca di far forza sulle proprie gambe.
Qui si chiude il sipario, dopo ottanta minuti di serrato ritmo teatrale, d'interessanti dialoghi costantemente fissi sull'esistenza umana, sulle insoddisfazioni che questa ci lascia nostro malgrado, sulla necessità di rifugiarsi ognuno nelle proprie illusioni (come scrisse anche Giacomo Leopardi), sulla bellezza di queste illusioni che, a ben guardare, rivelano il lato pensante di ognuno di noi, la nostra sensibilità più intima, e le aspirazioni, gli affetti, le fantasie. Che possono anche trovare compimento, e in fondo il teatro è qui a dimostrarcelo. Non mancano tuttavia caustiche osservazioni sulle brutture e le storture della società contemporanea: la piaga della violenza sulle donne, la disonestà della politica, l'ipocrisia dei sindacati, e anche l'ipocrisia del mondo culturale, che - lascia intendere Benvenuti fra le righe, forse anche accennando alla sua personale vicenda artistica -, taccia di scarso talento i comici, giudicati incapaci di scrivere testi dal taglio "intellettuale".
In Chi è di scena c'è tutto Benvenuti, quello surreale dei tempi dei Giancattivi, quello amaro di Benvenuti in casa Gori, quello tagliente di Un comico fatto di sangue, che alterna i toni del matuto uomo di teatro a quelli del guitto della tradizione popolare. Paolo Cioni regala una divertente interpretazione, a tratti nevrotica, a tratti impacciata come nella miglior tradizione della scuola di Jerry Lewis, sopra le righe per rendere al pubblico l'idea di "finzione", mentre Maria Vittoria Argenti è adeguata nella parte della nipote che tenta di far risollevare lo zio dalla crisi in cui è caduto.
A immortalare il teatro come metafora dell'esistenza, provvede lo stesso Benvenuti che, appena prima della chiusura del sipario, con voce fuori campo, ipotizza che se quanto appena visto fosse uno spettacolo teatrale (quale di fatto è), il titolo non potrebbe che essere "Chi è di scena", a voler significare che la vita è un palcoscenico, e ognuno di noi, ne sia consapevole o meno, interpreta una parte, che sia per suo volere, o per volere di altri.
Niccolò Lucarelli