di Federico Garcia Lorca
adattamento e regia: Lluìs Pasqual
traduzione: Elena Clementelli, scene: Ezio Frigerio, costumi: Franca Squarciapino, luci: Claudio De Pace
con Andrea Coppone, Gian Carlo Dettori, Pasquale Di Filippo, Martina Galletta, Alessandra Gigli, Eleonora Giovanardi, Andrea Jonasson, Giulia Lazzarini, Rosalina Neri, Franca Nuti, Stella Piccioni, Franco Sangermano, Sara Zoia
Milano, Teatro Grassi, dal 18 maggio al 13 giugno 2010
Donna Rosita nubile di Lorca/Pasqual N el 1982 il Lirico di Milano ospitò una memorabile edizione «beckettiana» di Donna Rosita nubile. Della commedia di Federico Garcia Lorca, inscritta in una specie di «teatro dell' attesa», il regista era Jorge Lavelli e l' interprete Nuria Espert. Tutto diverso lo spettacolo di Lluis Pasqual. Si comincia con una disavventura, per tutti un pò spaventosa: pubblico e compagni di lavoro di Franca Nuti, che la sera della «prima» si è improvvisamente accasciata. Per fortuna niente di grave, un malore, un eccesso di tensione. Un altro inizio, quello dello spettacolo, mi è parso opinabile: una parte del terzo atto viene anticipata al fine di porre la vicenda in una prospettiva temporale malinconica, se non straziante. Ora tutto è passato, tutto è finito. Non ci resta che ripercorrere l' accaduto. Ma ci chiediamo: che bisogno c' era? L' idea di Pasqual si rivela un innocuo espediente. Di fatto, egli agisce su altri piani, agisce cioè da vero regista, sensibile e moderno. Via tutto il colore andaluso (l' azione si svolge a Granata), via gli stacchi temporali (ora siamo nell' indistinto flusso del tempo), via i simboli. In quanto ai simboli vi è forse un di più di sottrazione. Quando la zia di Rosita dice che bisogna comprare del vino, la Nuti (chissà se per autoironia) parla di camomilla. Ma il vino, come il sangue che appare prima e dopo, è il rosso della feroce vita. Esso si contrappone al rosa che rappresenta la protagonista fin nel nome, quel rosa di cui la commedia trabocca, in specie nelle parole dello zio botanico. Che cosa è la commedia di Lorca se non un tripudio di ventagli, di balli, di chiacchiere, di inezie? «Sarà un' opera - disse Lorca nel 1934 -, di dolci ironie, di benevole caricature; una commedia borghese, dai toni lievi, in cui sono diluite la grazia e la bellezza di tempi passati». È senz' altro così, ma è anche molto di più. Sì, non succede mai nulla, se non l' invecchiamento dei personaggi, lo zio, la zia, la governante, l' intrepida Rosita. Il fidanzato è partito per le Americhe. Tornerà ben presto. O meglio, non tornerà mai. Rosita aspetterà invano, tutta la vita. La sua illusione e la sua logorante attesa sono il senso della commedia. Ma il succo ne è la presa di coscienza di una troppo cieca fedeltà, ovvero di una irrevocabilità del destino di Rosita, donna ormai matura, e donna tra donne sole. Nel suo spietato monologo sulla speranza che inaridisce i cuori si coglie infine l' allegoria: non vi è genitorialità. Non vi sono che zii e non vi saranno figli. C' è un tripudio di fiori e nessun frutto. Donna Rosita è la commedia della sterilità ossia, in senso autobiografico, io credo, dell' omosessualità. Pasqual ne ricava sempre la stessa inudibile nota e lo stesso bianco colore. Quattro trasparenti e «strehleriani» sipari mobili, un pianoforte, una o due sedie. Non c' è bisogno d' altro. Il pericolo è di scadere nella leziosità. Qualche volta Franca Nuti, che è la zia, e Giulia Lazzarini, che è la governante, rischiano di tradire l' allegria di Lorca, cioè la sua fondamentale malinconia. Ma non vanno oltre. Si fermano un attimo prima. Poi c' è la fantastica Andrea Jonasson. La grazia dei suoi movimenti è struggente. La sua voce profonda dà alla commedia la serietà che esige e merita. Con queste attrici, e con Rosalina Neri e Gian Carlo Dettori, e tutti i giovani interpreti che fanno da coro, tocchiamo con mano il mistero di Lorca, la potenza del suo duende. Ne parlava come fosse una grazia concessa agli altri, ma sapeva bene di non esserne stato risparmiato.
Franco Cordelli