di Bertolt Brecht
traduzione Laura Pandolfi
regia Walter Pagliaro
con Micaela Esdra, Martina Carpi, Rita Abela, Silvia Siravo, Giada Lorusso, Valeria Cimaglia
scene Gianni Carluccio
costumi Annalisa Di Piero
musiche Germano Mazzocchetti
assistente alla regia Silvia Micunco
assistente scenografa Sebastiana Di Gesù
produzione Compagnia Diaghilev, Associazione Culturale Gianni Santuccio
Stagione 2021/2022
Roma – Teatro Basilica dal 25 novembre al 5 dicembre 2021
Qual è il segreto di una rappresentazione teatrale? Il ritmo. Fin dall’apertura del sipario e prima ancora che gli attori inizino a pronunciare le battute, il tempo dello spettacolo si stabilisce da come camminano, da come si muovono, da quanto indugiano in uno sguardo o in un sospiro. Questo determinerà anche lo stile della recitazione, dell’espressione mimica e corporale. Tale ritmo lo si coglie attraverso il testo, dalla sua lunghezza o brevità. Si può scegliere, registicamente, di dilatarlo o renderlo ancor più rapido. Ma a quale prezzo? Interrogativi, questi, che sorgono dopo aver assistito a L’eccezione e la regola di Brecht per la regia di Walter Pagliaro.
Apologo appartenente al ciclo dei drammi didattici, esso è orchestrato come un pugno nello stomaco per gli spettatori. La vicenda del perfido Mercante che uccide il suo Portatore durante un viaggio difficile nel deserto malgrado questi gli voglia offrire la sua borraccia con dentro gli ultimi sorsi d’acqua rimasti, e assolto dal Giudice perché un atto di bontà – l’eccezione – non può discostarsi troppo dalla regola socialmente stabilita (subita?) e accettata (imposta?), Brecht la concepì per indignare gli spettatori, farli reagire, renderli consapevoli dell’ingiustizia ormai dilagante socialmente e giunta anche nelle aule di tribunale. Un effetto che il drammaturgo ottiene raccontando velocissimamente gli eventi, come se essi precipitassero senza possibilità di sosta, così da renderli più efficaci e potenti nell’effetto.
Nella sua regia Pagliaro ha dilatato la narrazione, interpolando le situazioni con musiche e canzoni, e ricorrendo ad uno stile recitativo molto vicino al dettato, con battute dette lentamente, ricorrendo a tonalità prossime alla caricatura. In ciò rievocando il principio dello straniamento dell’attore rispetto al personaggio, accentuato anche dall’aver vòlto i personaggi – tutti maschili – in femminili, così riprendendo (come chiarito dal programma di sala) l’affermazione di Brecht contenuta nel Breviario di estetica teatrale: “Impersonato da un attore di sesso diverso, il personaggio rivelerà più chiaramente il proprio sesso”.
Micaela Esdra ha reso il Mercante in modo cinico, crudele, recitando per tutto il tempo con voce stridula come fosse una strega pronta a sferrare un maleficio. Anche nelle movenze ricordava vagamente la perfida Grimilde di Biancaneve, con le dita delle mani arcuate a mo’ di artigli e un incedere lento, scattoso, accorto. Meno straniata la recitazione di Rita Abela (il Portatore), più vicina a uno stile realistico che, nel complesso, non stonava con l’orditura dello spettacolo. Il quale, forse per via dei tempi molto prolungati, ha lasciato trapelare il messaggio di Brecht con meno veemenza, poca incisività.
Un apologo teatrale divenuto un dramma, per lunghezza e per ritmo. A suo modo ben recitato e diretto. Più ironia non avrebbe nuociuto all’insieme; ma vedere un Brecht, di questi tempi, così bui e tristi, è un dono da cogliere comunque con gioia.
Pierluigi Pietricola