di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
Interpreti: Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Margherita Mignemi,
Riccardo Maria Tarci, Franz Cantalupo, Lorenza Denaro, Luciano Fioretto
Regia e scene di Giuseppe Dipasquale
Costumi: Sorelle Rinaldi
Musiche: Matteo Musumeci
Luci: Sergio Noè
Produzione: Teatro della Città
al Teatro Brancati di Catania dal 25 ottobre all'11 novembre 2018
Giuseppe Dipasquale è il più andreacamilleriano dei registi italiani. Ha cominciato nel 1998 a mettere in scena Il birraio di Preston collaborando con lo scrittore di Porto Empedocle alla riscrittura teatrale di testi come Troppu trafficu ppi nenti dal Troppo rumore per nulla di Shakespeare, La cattura di Pirandello, La signora Leucà, La concessione del telefono, Cannibardo e la Sicilia (solo regia), Il Casellante (debuttato a Spoleto nel 2016) e adesso Filippo Mancuso e Don Lollò: due figure che s'incontrano nel romanzo La concessione del telefono, incentrato - come è noto- su una semplice richiesta di allacciamento d'un apparecchio telefonico, diventato poi un affresco patrocinato dai forti poteri di Stato e Mafia. Da quest'ultima opera escono fuori, quasi per gemmazione, i due singolari personaggi di cui conosceremo amplificate le loro vite, interpretate adesso da una coppia di attori "ottantini", formidabili come Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina in grado di esaltate qualunque platea teatrale. I due eccellenti attori siciliani sono tornati insieme al Teatro Brancati di Catania per rendere godibile questo testo scritto a quattro mani dalla ditta Camilleri-Dipasquale.- Un'incredibile parrucca ramata con ampio boccolo centrale adorna il capo di Pattavina-Mancuso che deambula appoggiato ad un bastone per via d'una gamba di legno che non gli consente di sedersi a primo colpo e di cui sarà per tutto lo spettacolo un tormentone evidenziato dallo stesso Don Lollò di Musumeci, quasi con toni rimproveratori. Filippo Mancuso è un ricco proprietario terriero che vive a Vigata assieme al figlio ritardato Alberto detto Berto (Luciano Fioretto) che ha facoltà di parlare soltanto quando il padre sibila tra i denti un suono simile ad un campanellino. Nella sua casa vive da tempo la criata (cameriera) Nunziatina cui dà vita Margherita Mignemi che si mette in evidenza ogni volta che appare in scena, creando dei divertenti siparietti quando viene a contatto con il nerboruto Gegè di Franz Cantalupo (uomo tuttofare di Don Lollò), che le fa la corte, ampiamente ricambiata dalla donna. Lo spettacolo, invero fragilino, si regge soprattutto sulla presenza dei due mattatori in grado d'improvvisare all'instante battute esilaranti che tengono sempre desta l'attenzione del pubblico che si sbellica dalle risate applaudendoli a più riprese. Il racconto prende avvio allorquando il Mancuso fa recapitare a Don Lollò una capra. Un regalo ingombrante che ha il sapore di accattivarsi la benevolenza di colui che è considerato un uomo d'onore mascherato da gentiluomo, perché si prodighi in favore del figlio presso un onorevole di sua conoscenza per farlo assumere in una banca importante. Pare che questa raccomandazione andrà in porto, ma non la storia collaterale che coinvolge Lillina (Lorenza Denaro) figlia di Don Lollò un po' sciancata e l'angelico Berto, entrambi innamorati al punto di scappare insieme con la complicità di Nunziatina e di padre Imbornone, parroco di Vigata, vestito bellamente da Riccardo Maria Tarci, quasi un Don Abbondio manzoniano. La fuitina sfumerà per i potenti mezzi messi in atto da Don Lollò che spedirà la figlia in Svizzera: un nome che appena pronunciato viene accompagnato sempre da Pattavina canticchiando il motivetto della serie animata televisiva di Heidi. La scena dello stesso Dipasquale è nuda, solo un sipario trasparente sul fondo e una serie di arredi (sedie, poltroncine, tavolo, pure un confessionale) per indicare le location dell'azione. Musiche di Matteo Musumeci e costumi delle sorelle Rinaldi.
Gigi Giacobbe