di e con Chiara Francini
musiche originali eseguite dal vivo da Francesco Leineri
collaborazione artistica Michele Panella
regia di Alessandro Federico
una produzione Pierfranceso Pisani e Isabella Borettini per Infinito Teatro, in collaborazione con Argot Produzioni
a Cremona, Teatro Ponchielli, 27 febbraio 2024
Saluta con la mano come una bambina, in un vestito da piccola Alice che sta davanti allo specchio e non lo oltrepassa. Così Chiara Francini si congeda da un Ponchielli plaudente, dopo il suo racconto a cuore aperto Forte e Chiara. Le luci di un albero di Natale in lontananza – le luminarie sono una piacevole ossessione per l’attrice –, un finto tappeto erboso, lampadine alla ribalta e in mezzo c’è lei, Chiara Francini. Prima indossa un costume svolazzante, poi fuseaux e anfibi per il coronamento di un sogno: andare al Cocoricò di Riccione e infine è vestita da bambolina, quella bambolina nell’ultimo ripiano del negozio, impolverata e che nessuno vuole. Sarà, ma quella manina che saluta, il saltellare un poco infantile e quello stare davanti allo specchio per giocare all’amicizia, riflettendo la propria immagine finiscono col rimanere impressi e causare una certa inquietante tristezza. Alla fine l’applauso è veramente un abbraccio che Francini accoglie ma non ricambia: «A fine spettacolo io alzo le braccia e applaudo insieme al pubblico, perché esisto anche grazie a lui. Ma non mi inchino mai, perché ho fatto il mio lavoro», dice citando Franca Rame. Sembra strano, ma da quello che vorrebbe essere uno spettacolo dalla verve comica – che pure c’è ed è, a tratti, urticante – si esce un poco angosciati. Francini ci offre il racconto di lei bambina, concepita, mentre mamma leggeva Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci, lei con la nonna, Orlanda la furiosa e le sue massime nonché le sberle date col dorso della mano, lei alle elementari interprete di Santa Caterina e lei sempre brava a scuola. «Sono sempre stata brava, ho cercato sempre di eccellere, perché se eccelli sali in vetta e ti possono vedere», racconta. Accompagnata al pianoforte da Francesco Leineri, Francini è un fiume in piena, un diluvio di parole ben coccolate e ben ricercate con sapore collodiano e riecheggiando il parlar forbito di Paolo Poli. La tonalità di voce, a tratti squillante e a tratti più cupa, trova il suo equilibrio dalla metà del racconto, quando l’infanzia si allontana e al ricordo della Chiara che è stata, subentra la Chiara che è oggi, donna di successo, arricchita, con la povertà alle spalle che traspare dai racconti di una Toscana un poco rurale, dall’emozione di fare la villeggiatura alla pensione Jole di San Mauro a mare, sull’Adriatico perché il Tirreno era per ricchi. Se da un lato c’è il disperato bisogno di essere amata e accettata per quello che è, dall’altro – con una lunga e divertita digressione – c’è il fare i conti con il proprio passato che coincide con una povertà che non ha nulla dell’idealizzazione che ne viene fatta dai Sinistri come li chiama Francini o col disprezzo dell’ostentazione della ricchezza, portata avanti dai Mancini. E la tirata su certi stereotipi dei Borghesi di sinistra è un esercizio di liberazione che fa sorridere e possiede più chiavi di lettura. La chiusura è affidata all’esperienza di Sanremo con tanto di registrazione del suo dialogo con Amadeus. Una chiusura del cerchio, perché dal monologo recitato sul palco dell’Ariston nasce il libro Forte e Chiara e lo spettacolo ad esso connesso. Vestita come un confetto, bambolina dimenticata sul prato verde, Chiara Francini racconta del suo essere donna, del suo non avere figli, del non essersi sposata, di non saper cucinare e malgrado ciò di essere a suo modo donna, diversamente donna. Eppure in tutto questo rimane palpabile e straziante quel bisogno di maternità che fa di Chiara Francini bambolina di sé stessa, un’Alice che rimane davanti allo specchio, come Narciso in attesa di conferme da sé stesso, meglio da sé stessa con la forza di essere Chiara sempre e Forte il più possibile. Di fronte a questo flusso di coscienza un poco stropicciato non si può che plaudire e chiedersi: quanto un artista abbia la consapevolezza del suo vertiginoso mettersi a nudo. Nicola Arrigoni