dal romanzo di Nicola Lagioia
ideazione VicoQuartoMazzini
regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà
adattamento Linda Dalisi
con Michele Altamura, Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella, Francesca Mazza, Marco Morellini, Gabriele Paolocà, Andrea Volpetti
scene Daniele Spanò
luci Giulia Pastore
musiche e sound designer Pino Basile
costumi Lilian Indraccolo
foto Francesco Capitani
produzione Scarti – Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione, Elsinor Centro di Produzione Teatrale,
LAC Lugano Arte e Cultura, Romaeuropa Festival, Teatri di Bari, Teatro Nazionale di Genova
Roma – Romaeuropa Festival 2024
Teatro Argentina 1-4 Ottobre 2024
Dello spettacolo La ferocia occorre partire, per parlarne, dalla drammaturgia e dalle note di regia. La buona Linda Dalisi nell’adattare il romanzo omonimo di Nicola Lagioia si può dire abbia peccato un po’ troppo di fedeltà. Va bene che la presenza dell’autore è sempre imbarazzante, anche se da un punto di vista solo ideale. Ma a che scopo restare fedele al testo, riducendolo per le scene in una serie di quadri dove non vi è azione, nessuno sviluppo, nessun punto topico che poi dovrebbe condurre a una conclusione sorprendente? La vicenda della famiglia Salvemini, guidata dal patriarca Vittorio – uomo venuto dal nulla, diventato spietato costruttore edile, quindi ricchissimo, sfrontato e corrottissimo ai limiti della decenza –, colpita dalla scomparsa della figlia Clara, trovata morta in circostanze misteriose in un autosilo (suicidio, affermerà la perizia legale; ma poi si scoprirà che si è trattato di omicidio), donna spudorata che si prostituisce coi potenti della regione Puglia per far ottenere al padre Vittorio favori e concessioni anche quando dovrebbero essere negate: tutto questo viene, più che rappresentato, evocato a parole dai singoli personaggi principali che, in una serie di brevi monologhi, raccontano gli antecedenti dei fatti ai quali assistiamo sul palco. Gli attori non fanno che parlare per tutto il tempo, camminando un po’ qua e là per una scena che rappresenta una moderna sala da pranzo di una casa signorile; e non agiscono. Mica per loro colpa: ma perché il testo è tutto parole e parole. La Dalisi, sbagliando nell’eccesso di fedeltà al romanzo di Lagioia, ha dato così vita a una trama confusionaria che si ricostruisce a fatica. Quanto all’idea di regia: questo prendere il Sud, la Puglia nella fattispecie, come archetipo di un diffuso malcostume – la corruzione italiana: che originalità! – di uomini e politici, mischiandolo con un po’ di grecità attinta dall’Orestea per ciò che concerne il figlio (frutto d’una relazione extraconiugale di Vittorio Salvemini), giornalista sempre senza lavoro perché onesto, con precedenti problemi psichiatrici e intenzionato a scoprire la verità sulla morte della sorella Clara: ecco, tutto questo che vento di novità porta alla coscienza d’ogni singolo spettatore? Già la letteratura oggi difetta d’ironia e simpatia e si è ridotta ad essere un riflesso malriuscito della stinta cronaca nera o di narrazioni minuscole prive di valore simbolico e universale. Che il teatro, per giunta, debba ricalcare tale tendenza, invece di osare, criticare e far capire divertendo: tutto questo è esecrabile. Per non parlare della recitazione di tutti gli attori (discreti nell’insieme): così poco teatrale, simile a una routine interpretativa da serie televisiva giornaliera; e con le voci sussurrate amplificate da un microfonino, le movenze limitate a piccoli gesti ed una presenza scenica circoscritta a un ideale campo d’inquadratura cinematografica. Questa Ferocia, più che crudele, è stata noiosissima e priva d’ogni sorpresa. Pierluigi Pietricola