da Carlo Goldoni
regia di Marco Lorenzi
con Fabio Bisogni, Roberta Calia, Andrea Fazzari, Marco Lorenzi, Barbara Mazzi, Raffaele Musella;
luci Giorgio Tedesco, musiche originali Davide Arneodo (Marlene Kuntz),
scene e costumi di Gaia Moltedo, movimenti scenici Daniela Paci.
Coproduzione Fondazione del Teatro Stabile di Torino / Il Mulino di Amleto, con la collaborazione del Teatro Marenco di Ceva.
Visto al teatro dell'Orologio di Roma, dal 10 al 12 febbraio 2017. Alla Sala Fontana di Milano, dal 14 al 19 febbraio 2017
È una meraviglia di spettacolo. Di cinetica frenesia sentimentale. Di geometrie sceniche che imprimono ritmo musicale. Di oggettistica allusiva pregna di raccordi odierni. Di idee metamorfiche e luminose. Tutto questo per dirci l'incostanza dell'amore, l'insicurezza che logora i sentimenti, ma soprattutto la paura. Gl'innamorati underground con la regia di Marco Lorenzi, e con cinque giovani attori, oltre al regista, di gran calibro emotivo e fisico, fa di questo testo anomalo nella produzione goldoniana, Gli innamorati, un gioiello di messinscena per intelligenza registica e rivisitazione drammaturgica, con rispetto dell'originale - pur nella riduzione dei personaggi - e sguardo contemporaneo. Spettacolo del 2014, prodotto dal Teatro Stabile di Torino e dal Mulino di Amleto, che continua a incantarci. Gli innamorati è una storia senza storia, un piccolo capolavoro di psicologia della passione amorosa giocata sulla gelosia dei due protagonisti, Eugenia e Fulgenzio. I due avrebbero tutto per andare d'amore e d'accordo e invece non fanno altro che litigare e lasciarsi nonostante gli inutili tentativi dell'avveduta Flamminia sorella di lei che cerca continuamente di ricondurla alla ragione. E ogni volta che Fulgenzio appare in casa si ripete il copione: dopo la gioia l'inevitabile rissa, dopo la riconciliazione di nuovo le ripicche. Assistiamo alle esasperate schermaglie sentimentali, appunto, tra Eugenia, acida, sospettosa, iperpossessiva, irragionevole, e il suo Fulgenzio, quasi altrettanto puntiglioso quanto innamorato, figura decisamente patologica in quel quieto mondo di buonsenso borghese basato sull'interesse economico. Tutto si svolge nella casa dello zio di lei, megalomane in rovina e visionario, luogo che lo scenografia disegna con una semplice porta dalla quale si entra e si esce di continuo e riconduce le azioni dentro un quadrato bianco disegnato a terra, ring dove combattere, incontrarsi, scontrarsi. E proprio come in una partita di boxe i personaggi di volta in volta siedono, a vista, ai lati per sostare e subito rientrare per riprendere le schermaglie. Se il regista Massimo Castri in una celebre edizione de Gli innamorati ne aveva fatto un distillato di temperatura emotiva, con un tempo rallentato, quasi musicale, che lo contraddistingueva, Lorenzi ne fa una commedia ad alto tasso di energia, dal ritmo febbrile, concedendo qualche respiro in ralenti come in una sequenza cinematografica, mantenendo sempre una distanza nell'equilibrio tra classicità e contemporaneità. A tutto questo contribuiscono anche la raffinatezza dei bei costumi d'epoca; le luci piene e circoscritte nei momenti dei pensieri ad alta voce compresa la lanterna luminosa manovrato a vista che insegue i personaggi dopo il blackout del lampadario; gli elementi scenici che costellano le azioni, e fra tutti la bianca bicicletta piantata a terra per le folli corse di Fulgenzio per raggiungere l'amata e per fuggirne. L'immobilità di una situazione (quella della gelosia) destinata ad avvitarsi su se stessa, a ripetersi in un dinamismo che è soltanto interiore, il regista la racconta con aggressiva freschezza e al contempo una leggerezza esemplare, con una recitazione quotidiana, ironica, che sa arrivare in profondità. La racconta anche grazie ad un meraviglioso gruppo di attori, tra cui l'Eugenia isterica di Barbara Mazzi, tutta gesti, nevrosi, vocine, grida rabbiose e sussurri d'amore, e il Fulgenzio energico e fiammiferino di Raffaele Musella, povera seppur non arrendevole vittima della scatenata. Con loro Roberta Calia, Andrea Fazzari, Marco Lorenzi, Fabio Bisogni.
Giuseppe Distefano