di Luigi Pirandello
adattamento e regia Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci Max Mugnai
con Roberto Latini
video Barbara Weigel
elementi di scena Silvano Santinelli, Luca Baldini
assistenti alla regia Lorenzo Berti, Alessandro Porcu
direzione tecnica Max Mugnai
movimenti di scena Marco Mencacci, Federico Lepri
organizzazione Nicole Arbelli
foto Simone Cecchetti
produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi, Festival Orizzonti di Fondazione Orizzonti d'Arte, Emilia Romagna Teatro Fondazione
Prato, Teatro Metastasio, 11/14 gennaio 2018
Ci sono volte, sempre più rare, in cui il teatro diventa un luogo sacro, un ponte che ci innalza verso il soprannaturale, non inteso in senso religioso, ma spirituale. In questi casi, ne percepiamo il senso profondo, la sua intrinseca necessità. È ciò che accade con I giganti della montagna di Fortebraccio Teatro.
Lo spettacolo si apre come un concerto rock: la voce di Roberto Latini, sorretta dalle note taglienti di Gianluca Misiti e amplificata da un'architettura di microfoni, si moltiplica in una sinfonia di suoni. Le parole diventano poesia che si fa pietra preziosa, entrano sotto la pelle, ci fanno vibrare l'anima, ci scuotono, ci travolgono. Veniamo attraversati da una pluralità di emozioni, che ci esaltano, ci commuovono, ci lasciano quel sorriso soddisfatto di goduria, perché i sensi sono stati completamente appagati da ciò cui abbiamo assistito. Proviamo tante emozioni quante le anime che vediamo scorrere di fronte a noi, che invadono il corpo di un unico immenso attore. Latini, con gli occhi celati da due lenti a contatto bianche, vive una trasmutazione continua: è Ilse, con il volto coperto da una pezzuola, è il Conte, è il mago Cotrone, una sorta di sciamano con i trampoli, è la Sgricia, Mara-Mara e l'Angelo Centuno. In lui sono racchiusi tutte le "maschere nude" dell'ultimo dramma incompiuto di Pirandello, ma il regista e attore non si limita a interpretarle, dà a ognuna di loro una voce e così facendo le fa vivere, come se fosse in trance e quegli spiriti si impossessassero del suo corpo. La sua estasi diventa la nostra.
Le parole, ora gelide e piene di dolore, ora dolci e melodiose, si diffondono nello spazio, tra echi, bolle di sapone che vorremmo afferrare e un tappeto di fumo, nebbia in una mente offuscata. La musica prorompente incalza di pari passo a quelle parole, in una perfetta alchimia di linguaggi in dialogo continuo tra loro. Le luci crepuscolari di Max Mugnai proteggono l'intimità del performer mentre lo guidano nei suoi movimenti.
Sul palco si staglia un campo di spighe di grano, sospeso in alto traballa un lampadario, su uno schermo sul fondale della scena vengono proiettate parole, che fluttuano come nuvole su un cielo azzurro, che scompaiono, si spezzano e ritornano, per indicarci l'unica strada possibile: non aver paura ad abbandonarsi completamente alla finzione scenica, all'immaginazione.
La paura è una parola che ritorna come un refrain, in tutte le forme: viene proiettata nello schermo, pronunciata dal vivo e registrata, viene ripetuta continuamente fino all'epilogo, quando Latini sale su un trampolino e si porge verso il pubblico, verso l'ignoto. Pronuncia le ultime battute di Diamante e poi crolla esamine, forse a simboleggiare la morte della Contessa ma anche la fine di un incantesimo.
Roberto Latini – non esageriamo ad affermarlo – attualmente si distingue come il miglior attore italiano esistente e al suo fianco, nello svilupparsi dei suoi processi creativi, non poteva che esserci un musicista e compositore eclettico come Gianluca Misiti.
Sara Bonci