riscrittura Letizia Russo,
regia Andrea Baracco
con Giordano Agrusta, Caroline Baglioni, Carolina Balucani, Dario Cantarelli,
Stefano Fresi, Ilaria Genatiempo, Lucia Lavia, Emiliano Masala, Laurence Mazzoni,
Woody Neri, Alessandro Pezzali, Emilia Scarpati Fanetti, Aleph Viola, Oskar Winiarski
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
luci Simone De Angelis
musiche originali Giacomo Vezzani
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
con il contributo speciale della
Fondazione Brunello e Federica Cucinelli
“Guerra e Pace”, tratto dai primi due libri del romanzo di Lev Tolstoj, è composto da due spettacoli distinti e autoconclusivi.
A Perugia, Teatro Morlacchi, dal 4 al 30 maggio 2021
Impresa decisamente titanica trasferire sulla scena Guerra e pace, il romanzo di Lev Tolstòj, pietra miliare della letteratura russa, grande affresco storico-sociale che colloca le vicende sentimentali dei personaggi protagonisti sullo sfondo della tragica campagna militare voluta da Napoleone per invadere la Russia dello zar Alessandro I. Sforzo produttivo e sfida coraggiosa vinta dallo Stabile dell’Umbria, grazie a una complicità di appassionate menti creative. A cominciare dal regista Andrea Baracco e dalla traduttrice Letizia Russo che hanno riscritto, con doverosi tagli e adattamenti, l’immensa materia di questo capolavoro della cultura letteraria universale; e soprattutto agli attori, un cast più che affiatato di quattordici interpreti (alcuni in due diversi ruoli) dal respiro corale. Insomma, una vera festa del teatro per molti motivi: per l’agognato ritorno in scena dopo mesi di chiusura forzata, di attori, pubblico e maestranze; per lo spazio fisico utilizzato - platea e palcoscenico come luoghi dell’azione, e spettatori nei palchetti -; per la monumentalità dell’opera allestita. Impossibile da sintetizzare per la mole di personaggi – qui ridotti –, d’intrecci e di eventi, la messinscena fluisce chiara come un film catalizzandoci dentro la grande storia - la sconfitta subita da russi ed austriaci ad Austerlitz, e il tentativo delle armate napoleoniche di impossessarsi di Mosca - nella quale s’intrecciano le vicende di due famiglie dell'alta nobiltà russa, i Bolkonskij e i Rostov, portatori di antichi valori, contrapposti ai Kuragin, i nuovi ricchi corrotti e frivoli. Ritroviamo, di Pierre Besukof, del principe Andrej Bolkonski, di Natasha e di tutti gli altri esseri umani raccontati da Tolstoj, gli smarrimenti, le inadeguatezze, i nuclei d'infelicità, i linguaggi di gruppo e l'epopea di un pensiero ora idealistico ora nichilista che li permea. Baracco utilizza un sistema di segni scenici essenziali caricandoli di quelle valenze simboliche ed evocative, atti a restituire mondi, pensieri, climax. E basta all’inizio una voce fuori campo a introdurre uno ad uno i personaggi come in una passerella che, compatta, si avvia ad affrontare la consistenza, o l'inconsistenza, della vita. Nelle quattro ore di spettacolo – diviso in due tempi e a sere alterne, e un’unica recita i fine settimana – i protagonisti dell’epopea soffrono, amano, sbagliano, si ricredono, si agitano, si scontrano, si odiano, si accusano: tutti moti dell'animo “gettati” nella grande arena della platea e del palcoscenico, sgombri di poltrone e di quinte, unificati da una grande scalinata. Con cambi a vista di sedie, tavoli, poltrone, letti, porte stilizzate; con alzate e chiusure di sipario che circoscrivono i diversi ambienti; e con le sapienti luci – alcune abbacinanti scese dall’alto - che modellano i volumi e le forme sagomando le atmosfere e i personaggi, il teatro si trasforma in sala da ballo, in palazzo e giardino, in salone, in campo di battaglia, immerso in un tessuto sonoro elettronico misto a stili e riferimenti musicali d’epoca e di oggi (da Beethoven a Leonard Cohen). D’epoca sono le fogge dei preziosi costumi ben calzanti negli attori in simbiosi col mondo rappresentato. Interpreti di diversa statura attoriale che Baracco ben dirige amalgamandoli nell’impegnativo lavoro corale dove tutti sono tasselli unici del grande mosaico, nel quale spiccano, per l’importanza dei ruoli e per differente equilibrio interpretativo, Emiliano Masala nel ruolo del Principe Andrej e Stefano Fresi in quello di Pierre (toccanti alcune scene dei loro dialoghi) mentre di Lucia Lavia, nei panni di Natasha, non si può non appuntare un certo manierismo nella gestualità e nell’alternare toni fanciulleschi ad altri adulti, eccedendo nelle grida. Sono molte le immagini che si sedimentano nella nostra memoria, rese con semplici ma efficaci raffigurazioni. C'è, ad esempio, una lunga stoffa rossa che diventa giaciglio; una grande nevicata lasciata cadere da mani illuminate da spot dislocati in più lati della platea; la disfatta sul campo di battaglia evocata anche dall’apparizione di scheletri disposti sopra una fila di poltrone da cinema, svelati dal rumoroso cadere di una quinta. Potente, tra molte altre, è la sequenza della grande battaglia di Austerlitz in cui spicca il furente monologo di Andrej nel combattimento che lo vedrà cadere ferito contemplando il cielo. Lui, emblema del contegno militare, schiacciato dal dovere e teso alla gloria, che mirava alla grandezza immortale. Tra fumi e figure immobili, l’attore Emiliano Masala descrive la furia della battaglia e i suoi tormentati pensieri con toni accesi e toccanti mentre impugna e agita la bandiera del reggimento per lanciarsi contro il nemico prima di essere colpito; poi riaprire gli occhi e, sotto la visione di un cielo sconfinato, comprendere che tutto è vano, tutto è inganno. Una menzione alla sua interpretazione è doverosa per averci condotto con animo nel percorso esistenziale del Principe Andrej che, nella severa disapprovazione paterna e nel costante sentimento di rivalsa che lo abita, dal dovere e dalla fredda contemplazione della gloria virile, lo porterà nella seconda parte ad abbracciare l’amore per Natasha e per la fragilità della vita. Perché la contemplazione della sofferenza e il pensiero della morte gli hanno ormai fatto comprendere il vero valore delle cose e degli uomini, e il senso più profondo della vita.
Giuseppe Distefano