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GRANDE MENZOGNA (LA) - con David Coco

"La grande menzogna", con David Coco "La grande menzogna", con David Coco

di Claudio Fava
Con David Coco
al XII Cortile Festival di Messina
Produzione: Nutrimenti Terrestri di Maurizio Puglisi
Cortile Calapaj-D’Alcontres 7 e 8 agosto 2023

www.Sipario.it, 8 agosto 2023

Pare ormai certo che dietro le stragi di Falcone a Capaci e di Borsellino in Via D’Amelio ci fossero accanto alla mafia corleonese apparati deviati dello stato italiano. Pare pure che dietro l’eccidio di Borsellino e dei cinque poliziotti della sua scorta sia stato montato uno dei più grandi depistaggi che la nostra Repubblica ricordi. Ad affermarlo sono le carte della Commissione Antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana presieduta da Claudio Fava (dal 2018 al 2022) autore e regista (al suo esordio) della pièce teatrale La grande menzogna, che chiaramente pesca in quegli atti roventi di cui anche noi adesso veniamo a conoscenza e che, in questa bizzarra estate, ci vengono restituite da un formidabile attore catanese che di nome fa David Coco sotto forma di monologo drammatizzato. A differenza però di quel noto articolo di Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera del 1° novembre 1974: «Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Milano, Brescia, Bologna…ma non ho i nomi…», qui invece Fava fa i nomi di mafiosi, pentiti e giudici che hanno avuto un ruolo importante nel nascondere e depistare le prove che avrebbero inchiodato i colpevoli.  Eccolo dunque Coco, capello brizzolato, elegante nel suo abito scuro, sulla piccola scena del Cortile Calapaj-D’Alcontres vestire i panni di Borsellino, colto a fumare di continuo Nazionali senza filtro, quelle con il pacchetto verde e la nave con le vele al contrario, ironizzando subito che lui non morirà di cancro per i due pacchetti che fuma ogni giorno, ma per i 70 kg di tritolo che i mafiosi metteranno in una 126 Fiat rossa sotto casa di sua madre, in Via D’Amelio appunto, provocando un cratere enorme,  con pezzi di lamiere volanti e brandelli di carne che qualcuno raccoglierà in un secchio di plastica. Gli dà quasi fastidio a Coco/Borsellino raccontare ancora una volta questa storia, impersonare ogni anno il ruolo del giudice eroe ucciso dalla mafia assieme alla sua scorta, assumendo poi toni ironici e bislacchi, dando nome e cognome a tutti quei manichini che lo circondano, riconoscibili per le facce che vi sono incollate. Inizia con tre stranezze questo spettacolo di poco meno dio un’ora:  la prima è quando giunge in quel macello di corpi un funzionario del Sisde prima della polizia di stato: la seconda è data dalla sua scrivania del tribunale completamente linda, dove sono scomparsi tutti i suoi documenti compresa la nota agenda rossa: infine la terza sorge lo stesso giorno della sua morte allorquando sono scoparsi per incanto tutti i mozziconi di sigarette dal portacenere della sua casa al mare. Cosa cercavano questi sconosciuti personaggi? É stata la mafia ad uccidere il giudice Borsellino, si dice subito. Ed ecco spuntare fuori il manichino del (falso)pentito Vincenzo Scarantino, un ladruncolo analfabeta, assoldato evidentemente da chissà quali forze oscure per dire d’aver partecipato ad un summit mafioso con Totò Riina dove si decideva la morte di Borsellino. Una bugia enorme a cui crede prima il manichino del procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, poi il manichino dello sceriffo Arnaldo La Barbera capo della squadra mobile di Palermo, ex informatore del Sisde, che cerca di convincere Scarantino a collaborare, promettendogli che l’avrebbe fatto diventare famoso come Buscetta. Poi Coco/Borsellino prende il manichino di un altro pezzo da novanta, chiamato Bruno Contrada, l’uomo forte del corpo militare, poliziotto espertissimo, uno che ha il coraggio di dire che Scarantino risulta attendibile, che è un uomo d’onore di alto lignaggio, ascoltato e rispettato da tutti i capi mandamento di “cosa nostra”, mentre la scena si riempie con le note musicali di Summer on a solitary beach di Battiato, canticchiata al ritmo di danza attorno a quei manichini. Si capisce che Scarantino è un capro espiatorio, buono solo ad incolpare “cosa nostra” per la morte del giudice, in modo che lo Stato ne esca fuori immacolato e innocente, pure ottuso e sordo, anche quando, un giorno, i soliti ignoti organizzano un confronto con Totò Cancemi, vero pentito e mafioso doc, il quale quando si trova di fronte Scarantino, dopo cinque minuti afferma di non conoscerlo e che gli hanno fatto una lezioncina ricca di minchiate da ripetere a memoria. Succede pure un giorno che Scarantino confessi al telefono al giornalista Angelo Mangano, che lui con la bomba a Borsellino non c’entra nulla, non sapendo neppure chi fosse. Tuttavia ha dovuto confessare il falso altrimenti non gli avrebbero fatto vedere i suoi figli. Il giornalista gli crede, registra nel frattempo la conversazione e poi d’accordo col proprio direttore decide di mandarla in onda (il 26 luglio 1995) su Italia Uno. Succede pure, un paio d’ore prima della messa in onda, che piombino negli studi televisivi due personaggi eleganti con le borse di pelle, mostrando carte bollate e l’ordine di sequestrare la registrazione dell’intervista per “urgenti ragioni di giustizia”. Costoro si prendono la cassetta e fanno cancellare pure il master dell’intervista, come ai tempi di Ultimo tango a Parigi, quando la censura decise di dare fuoco a tutte le copie del film per non lasciare traccia, uccidendo così due volte Borsellino: la prima con la bomba, la seconda volta distruggendo la verità. Succede infine, sempre per citare il film di Bertolucci, che il giornalista conservi una copia dell’intervista e che venga mandata in onda con la ritrattazione di Scarantino, comprese le botte che ha preso, le fesserie che ha dovuto raccontare, le promesse che gli hanno fatto fare. Pare possa esserci uno spiraglio di verità indagando sui burattinai di Roma, Palermo e Caltanissetta. E invece non succede niente, perché Scarantino il giorno dopo si rimangia tutto e sei mesi dopo la morte di Borsellino viene arrestato a Palermo Bruno Contrada perché ritenuto amico dei mafiosi, mentre a Caltanissetta sono convinti che sia un bravo questurino, affidandogli per giunta le indagini sulla morte del giudice. Dov’è la verità? Che tipo di processo, durato cinque anni, è stato quello indetto da una Corte che ha confermato l’esistenza del depistaggio e che ha visto sfilare 120 testimoni assolti tutti per prescrizione? Intanto quei giudici-manichini sono morti e di questi fatti dopo 31 anni rimane solo una verità certa: quella di vedere ad ogni fine luglio tanta gente in lacrime che ricorda quella strage, portando mazzi di fiori in quella via, organizzando cortei e fiaccolate in memoria del martire Borsellino. Lavoro superbo, di stampo socio-politico, prodotto eroicamente dai Nutrimenti Terrestri di Maurizio Puglisi, con l’accoppiata vincente Coco-Fava, ricco di parole pesanti come macigni e che dovrebbe essere rappresentato in tutte le scuole d’Italia, certamente in ogni Teatro, per fare conoscere le menzogne che ci hanno propinato in tutti questi anni sul rapporto Stato-Mafia, pilotato bellamente da oscuri personaggi di cui vorremmo conoscere i loro nomi. 

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Martedì, 08 Agosto 2023 21:51

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