di Luigi Pirandello
regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi
con Ester e Maria Cucinotti, Stefano Randisi, Marika Pugliatti, Giovanni Moschella, Giuliano Brunazzi, Luigi Tabita, Enzo Vetrano, Antonio Lo Presti, Margherita Smedile, Eleonora Giuia, Paolo Baietta
luci di Maurizio Viani
scene di Marc'Antonio Brandolini, costumi di Mela Dell'erba, suono di Alessandro Saviozzi
produzione del Teatro Stabile di Sardegna, Teatro de Gl'incamminati, Teatro Carcano, Diablogues
Cremona, Teatro Ponchielli, 3 e 4 marzo 2010
I Giganti della Montagna di Enzo Vetrano e Stefano Randisi sono il teatro che si disvela, sono la poesia che supera la vita, che va oltre la vita e resiste, malgrado tutto, malgrado quel: «Io ho paura! Ho paura!» che pronuncia impietrita Diamante all'arrivo dei giganti... Il testo ultimo e incompiuto di Pirandello, portato in scena da Vetrano e Randisi, si offre come un reiterato invito a credere ai fantasmi, un invito — complice l'autore dei Sei personaggi — a farci fantocci, quei fantocci che sanno far parlare i personaggi davvero e non rappresentarli solamente, quei fantocci che alla fine nel loro essere finti si dimostrano intimamente veri. Sembra di intuire che forse solo frequentando questa capacità di illuderci, ovvero di giocare con l'anima e con la poesia ci possa essere una salvezza dalla brutalità dei giganti, dall'imbarbarimento dei tempi che viviamo. Tutto in questa versione iperteatrale ruota intorno a Cotrone, un Enzo Vetrano grande mago di illusioni, signore della villa degli Scalognati, ma soprattutto capocomico che sa la fatica del teatro e che per questo invita Ilse la contessa a rimanere nella villa, l'unico luogo dove la Favola del figlio cambiato può avere la sua ragion d'essere. La messinscena si apre con il confronto fra ciò che rimane della compagnia della contessa e quegli strani esseri che abitano una villa, abbandonata dai proprietari perché infestata dai fantasmi. Di questo mondo Cotrone è il signore assoluto, il regista interno. Si ha l'impressione che per tutta la prima parte di questi Giganti onirici il riferimento interpretativo vada più ai Sei personaggi in cerca di autore che al testo testamentario di Pirandello, un parallelismo sotteso ma che finisce – forse – col confondere le idee. Lo spettacolo, complici le luci di Maurizio Viani, si risolve disperato invito del mago a vivere come vere le sue illusioni, a godere della bellezza della poesia per la poesia rinunciando all'inattuale missione salvifica nel mondo, ma non rinunciando alla speranza per un mondo capace di illudersi, di giocare con l'impegno e la leggerezza dei bambini. A questo invito 'alla resa consapevole' resiste Ilse che per Vetrano si sdoppia in due contesse, l'una nella realtà, l'altra apparizione nella villa, interpretate da Ester e Maria Cucinotti. Le due attrici gemelle danno corpo ad un divertito e divertente gioco di specchi che tiene banco fino alla fine, malgrado la gemellarità delle due attrici sia denunciata dalla locandina. Ma soprattutto a resistere all'Aventino dell'arte e della poesia è lo stesso Vetrano che alla fine mostra la sua doppia Ilse pronta di nuovo a proporsi al mondo col l'altra da sé morta in braccio. Ed è il teatro che ha la meglio, è la sua urgenza di verità che rimane alla fine di questo Giganti della montagna. Crotone è colui che inventa la verità, quella verità che si disvela nell'arsenale delle apparizioni affidandosi a una citazione spudorata della Classe morta di Kantor in cui fantocci e Scalognati sono un tutt'uno, recitano la Favola del figlio cambiato e mostrano le illusioni della villa che abbracciano tutto e tutti, che stupiscono e spaventano, che mostrano i nostri sogni mentre il corpo dorme. I fantasmi nella villa escono dai corpi, in un movimento uguale e contrario allo sforzo che gli attori fanno per dare corpo ai personaggi inventati dalla poesia... Su tutto e tutti aleggia il sonno dei morti, aleggia la vita sospesa di anime in un limbo indefinito ma non per questo rassicurate. Ed è forse questo limbo e questo piacere interno alla messinscena dei Giganti della Montagna che non permette alla versione di Vetrano e Randisi di prendere il volo e forse di convincere appieno, come è accaduto nei precedenti e ottimi allestimenti pirandelliani. Vetrano e Randisi sono affiancati da una compagnia coesa e solidale: Marika Pugliatti, Giovanni Moschella, Giuliano Brunazzi, Luigi Tabita, Antonio Lo Presti, Marghersita Smedile, Eleonora Giua e Paolo Baietta. La loro lettura registica si fa irretire dal pensiero di Pirandello, lo porge nella sua complessità e si affida alle suggestioni visive e al racconto di quella storia che Cotrone sa vivere e dirigere con la maestria di un consumato capocomico...
Nicola Arrigoni