Di Francesco Niccolini
Con Luigi D’Elia
Regia: Enzo Vetrano e Stefano Randisi
Disegno luci: Francesco Dignitoso
Produzione: Mesagne Capitale Cultura di Puglia 2023 – Umana Meraviglia, Compagnia INTI di Luigi D’Elia, Le Tre Corde – Compagnia Vetrano/Randisi, Teatri di Bari
Con il sostegno di: Teatro Cristallo e PASSO NORD centro regionale residenze artistiche di montagna Trentino-Alto Adige/Südtirol sostenuto da MIC – Direzione Generale Spettacolo, Provincia Autonoma di Trento e Provincia Autonoma di Bolzano
Teatro Oscar di Milano 7 aprile 2024
Il caso ha voluto che dopo lo spettacolo dell’Odin Teatret dedicato a Francisco Goya ci si presenti ora l’occasione di una cronaca sullo spettacolo di Luigi D’Elia dedicato a Caravaggio. Il teatro che affronta la vita dei pittori grandi, che ne fa materia per un tipo d’attore che si presta, plasmandosi, all’eccezione di vite irregolari, e lo fa anch’egli dalla postazione disagevole dell’eccezione, quando si rende poeta, a cifrare di una propria versificazione carnale la scena. Franco Acquaviva
Con procedimenti ed esiti tuttavia diversi tra il caso citato e quello di cui andiamo a parlare. Luigi D’Elia innesta il suo corpo e soprattutto la voce dentro a una drammaturgia di Francesco Niccolini.
Caravaggio, a differenza di Goya, è un soggetto più romanzesco, la sua vita si impiglia negli angoli acuti del crimine, della sregolatezza, in una parabola vertiginosa dove trionfo e caduta si scambiano di continuo le parti, fino al tragico epilogo; e dove la dismisura del genio si placa nella misura dell’arte; ma ecco come la prima paia voler fare erompere l’eccesso della vita come ripristino di un qualche ordine naturale o cosmico, di contro all’ordine supremo della composizione pittorica. Merito del testo di Niccolini è quello di farci entrare con la parola, senza l’ausilio di immagini proiettate o stampate, dentro al mondo delle tele; di illuminarne i dettagli meno appariscenti: così oltre al dato della luce che taglia il nero di tenebra, che sappiamo cifra dei dipinti più celebri, e l’ancor più noto aneddoto del tetto di casa smantellato in un tratto per far penetrare quella precisa lama di luce, ecco affiorare nella robusta narrazione di D’Elia la questione di quanto la rivoluzione di Caravaggio sia affidata ai dettagli: i piedi, per esempio, soggetto plebeo mai ritratto prima, soprattutto nella sua evidenza quotidiana di parte del corpo bassa, esposta allo sporco delle vie, con quelle unghie orlate di nero nel corpo dei poveri; o i volti, nella raffigurazione di personaggi sacri, presi da quelli delle prostitute o dei ragazzi di vita che il pittore frequentava; il tutto immerso nel furore di una sorta di nemesi personale che possa porre rimedio all’ingiustizia della Storia. La ribellione in Caravaggio pare infatti quella di chi sente in qualche modo che l’ordine gerarchico del mondo, lungi dall’essere cosa naturale, è un insulto alla vita e ci mette del suo per ripararne i torti. E così facendo non può non scontrarsi con il potere, traendone alterne risultanze: troppo genio per poter essere del tutto punito delle sue intemperanze, troppo intemperante per poter essere del tutto salvato dal proprio genio.
La voce di D’Elia percorre con incisività di toni le varie anse cui è sottoposto il corso della narrazione; si piega e s’impenna con vigore e dolcezze improvvise e, anche se ormai siamo avvezzi alla microfonatura d’obbligo, tuttavia in questo caso, ci si permetta un appunto puramente tecnico: forse una regolazione più attenta del volume avrebbe giovato sia all’intimismo e alla delicatezza di alcune parti del racconto sia a quelle più “concionate” e concitate. D’Elia si spende fisicamente senza risparmio, e si mette alla prova con coraggio, sostenuto da un fiato e da una vocalità dilaganti, a un ritmo sovente indiavolato, dentro a una scena occupata solo da un praticabile e da pochi altri accessori decorativi: drappi che tingono di vermiglio un angolo del palco in un richiamo alle luci e alle atmosfere delle tele del grande pittore.