traduzione e riduzione dal Macbeth di William Shakespeare di Francesco Niccolini
drammaturgia di Enzo Vetrano, Stefano Randisi, Giovanni Moschella, Raffaella D’Avella e Francesco Niccolini
regia di Vetrano e Randisi
con Enzo Vetrano, Stefano Randisi, Giovanni Moschella e Raffaella D’Avella
scene e costumi di Mela Dell’Erba
luci di Max Mugnai
produzione Arca azzurra e Cetro Teatrale Bresciano
al teatro Sant’Afra, Brescia, 23 marzo 2023
Come in Riccardo 3- L’avversario di qualche anno fa in cui Shakespeare dialogava col romanzo di L’avversario di Emmanuel Carrère e i crimini di Jean Claude Romand così ne i Macbeth il testo di Shakespeare dialoga con fatti di cronaca: dalla follia di Olindo e Rosa, all’omicidio di Filippo Felici, trovato morto dopo un festino e ucciso a sangue freddo dai due suoi carnefici senza un movente apparente, questi alcuni dei riferimenti a più o meno recenti fatti di cronaca nera. Meno forte di Riccardo 3, i Macbeth. entrambi i lavori sono firmati da Francesco Niccolini – indaga nel buio dell’anima, va in cerca di quel cortocircuito che fa perdere i freni inibitori, che scatena la violenza, ma anche la complicità di coppia o di amicizia nel compiere i più efferati delitti. Anche qui, come in Riccardo 3, la scena è asettica: i quattro assassini si trovano in una sorta di manicomio, separati uno dall’altro, rinchiusi in celle o stanze rivolgendosi spesso e volentieri direttamente al pubblico. La vicenda di Macbeth e lady Macbeth si intreccia con le testimonianze vere dei crimini, dei fatti di cronaca. Il gioco che porta avanti i Macbeth è proprio cercare di individuare come la tragedia più cupa e gravida di sangue di Shakespeare sia nostra contemporanea, come quella coppia terribile mossa dall’ambizione e accecata dal potere viva anche nell’oggi, magari nei più prosaici Olindo e Rosa che non devono assurgere al trono di Inghilterra, ma semplicemente mantenere il dominio della loro vita tranquilla, della loro casa. Già qualche anno fa Andrea De Rosa aveva affrontato la medesima operazione in maniera altisonante e granguignolesca con effetti molto discutibili. Ne i Macbeth di Vetrano-Randisi ad essere protagonista è la parola detta, recitata, quasi in come in un oratorio dell’orrore: è questo il pregio e limite dello spettacolo. La disparità attoriale rende disomogeneno in molte parti il racconto, ma certo la forza espressiva della coppia Vetrano/Randisi sa dare peso specifico all’operazione e trascinare anche Giovanni Moschella e Raffaella D’Avella. Ne i Macbeth il gioco si svela fin da subito, a tratti è faticoso ricomporre i pezzi di un racconto che intreccia orrore a orrore, questa sorta di amalgama narrativo rende tutto un po’ uguale, laddove in Riccardo 3 il disegno drammaturgico appariva assai più compatto, coeso e chiaro. Malgrado ciò si crede che si debba leggere i Macbeth come la tappa di una riflessione che Vetrano e Randisi portano avanti sull’attualità di Shakespeare, sulla capacità dell’autore di Macbeth di leggere l’abisso d’orrore che è in noi e che può esplodere da un momento all’altro e renderci animali, feroci assassini, inconsapevoli carnefici. Ed è davanti a questo cortocircuito della ragione, dell’essere umano che ci si interroga per Macbeth come per i delitti efferati di sangue che sempre esercitano una suggestione. In tutto questo Shakespeare è ineguagliabile indagatore dell’animo umano e i Macbeth di Vetrano e Randisi offre un motivo di inquietudine su cui riflettere e non è cosa da poco.
Nicola Arrigoni