adattamento e regia di Manuel Giliberti
tratto da "Casa di bambola" di Ibsen
con Laura Ingiulla, Davide Sbrogiò, Lorenzo Falletti, Giorgia D'Acquisto e con la partecipazione di Antonietta Carbonetti
musiche Antonio Di Pofi
movimenti coreografici Serena Cartia
scene e costumi da Rosa Lorusso
secondo appuntamento della rassegna teatrale "Atto Unico. Scene di Vita, Vite di Scena",
curata da QA-QuasiAnonima Produzioni
Messina, al Teatro Savio di Messina 22 novembre 2015
Se una moglie di oggi lascia figli e marito può interessare i media usi al gossip solo se è un'attrice famosa o una vip del jet set, altrimenti la notizia passa inosservata o tuttalpiù qualche fremito l'avrà un parente o un amico stretto, mentre il resto del mondo continuerà a farsi i fatti propri. Così però non doveva essere, nella pur evoluta e democratica Norvegia, al tempo in cui Ibsen 135 anni fa finiva di scrivere Casa di bambola, che, come è noto, suscitò subito scandalo e polemiche perché considerata un esempio di femminismo estremo. Ibsen addirittura - si legge negli annali - fu costretto a cambiare il finale quando il lavoro fu rappresentato in Germania, perché l'attrice che interpretava Nora si rifiutò di recitare la parte di una madre ritenuta da lei snaturata. Per la cultura vittoriana il legame del matrimonio era considerato sacrosanto e l'abbandono del marito da parte della moglie era inconcepibile e inaccettabile. Tant'è che nell'opera, il marito di Nora (l'avvocato Torvard) quando lei dopo otto anni farà la valigia per lasciarlo unitamente ai tre figli piccoli, si rivolterà contro dicendole che il suo comportamento è rivoltante tale da tradire i più sacri doveri, aggiungendo con autorità che lei sarà sua moglie per sempre. Il dramma di Nora è quello di una donna costretta a vivere in una società a cui non sente di appartenere perché la considera soltanto una bambola. La sua vicenda non è soltanto una polemica sulla condizione femminile del 19° secolo, ma rappresenta anche una testimonianza dell'insopprimibile anelito alla libertà e all'esaltazione della vita. Gli usi e costumi che le proibiscono di amare ed essere felice sono per lei parole scritte solo nel libro dei sogni. Nora vuole vivere pienamente e realizzarsi come persona, badando a sé stessa autonomamente senza essere mai più la bambola del marito o del padre. Vuole essere una creatura umana come tutti o almeno tentare di esserlo. Nell'intelligente messinscena di Manuel Giliberti, al Teatro Savio di Messina, che ha adattato il dramma in un solo atto, titolandolo Interno di casa con bambola, alla maniera di alcuni film di Ingmar Bergman, risultano chiari i caratteri dei protagonisti, capitanati dall'ottima Nora di Laura Ingiulla e dai quattro comprimari tutti all'altezza dei propri ruoli: il Torvard di Davide Sbrogiò, l'amica Cristina di Giorgia D'Acquisto, il procuratore Krogstad di Lorenzo Falletti e la governante Antonietta Carbonetti. Sulla scena in penombra di Rosa Lorusso (suoi pure i costumi d'epoca) rischiarata da luci ambrate e da un luccicante grammofono a tromba che irradierà poi una tarantella, forse uno dei momenti più felici di Nora, si capisce qual è la scintilla che determina in lei la fuga da quella casa. Nora è ricattata da Krogstad per aver contratto un prestito illecito falsificando la firma del padre, per salvare la vita di suo marito, il quale scoperto l'arcano viene assalito dalla paura e dalla disperazione di perdere la propria reputazione, al punto di dire a Nora di lasciare quella casa perché moglie indegna pure d'accudire i propri figli, senza riconoscere che il gesto, anche se compromettente, era stato dettato dall'amore per lui. Il deus ex machina qui è raffigurato dall'amica di Nora che dichiarando di voler sposare Krogstad, costui annullerà ogni ricatto e Torvard, l'unico ad essere felice della notizia, griderà "sono salvo!", anche se in questo spettacolo ha esclamato "siamo salvi", perdonando di fatto la moglie. Ma è troppo tardi perché Nora, senza più certezze e illusioni, non potrà essere la donna di prima. Decide, dunque, di abbandonare suo marito in cerca della sua vera identità e, come dice lei stessa a Torvard, per «...riflettere col mio cervello e rendermi chiaramente conto di tutte le cose».
Gigi Giacobbe