di Woody Allen
Regia di Armando Pugliese, Scene di Andrea Taddei, Costumi di Silvia Polidori
Con Mariangela D'Abbraccio, Fulvio Falzarano, Mimmo Mancini, Barbara Giordano, Emanuele Sgroi, Luca Buccarello
Produzione Teatro della città
Teatro Vittorio Emanuele, Messina dal 15 al 19 febbraio 2012
Si rappresenta dunque una favola postmoderna, semplicissima e illuminante, pervasa di umorismo sottile, surreale, ventilato di sincera pietas umana.
La storia è ambientata in una degradata periferia di New York nel 1945 e racconta le vicende di una stravagante famiglia in piena crisi esistenziale.
Scelta preliminare: regista Armando Pugliese fa muovere i personaggi nella periferia povera della metropoli anni cinquanta, come in un "basso" dei quartieri popolari di Napoli, un vezzo mutuato dal teatro di Eduardo De Filippo. In una scenografia che è simbolo tangibile del logoramento dei rapporti tra i personaggi, sullo sfondo di un matrimonio alla deriva, i protagonisti sembrano vivere di illusioni: il marito (Mimmo Mancini) sogna di vincere alla lotteria e di fuggire con l'amante, ma intanto sbarca il lunario come può; la moglie (Mariangela D'Abbraccio) vive nel ricordo di quando ragazzina desiderava diventare ballerina e spinge il figlio Paul (un promettente Emanuele Sgroi), aspirante prestigiatore, a tentare la carriera dello spettacolo; l'altro figlio Steven (Luca Buccarello) si ribella alla condizione familiare, cimentandosi in precoci atti da bullo; l'impresario (Fulvio Falzarano) spera in un miglioramento professionale e l'amante (Barbara Giordano) vagheggia il riscatto da una vita grama.
Nel personaggio di Paul Allen concentra il significato simbolico del testo, affidandogli la scena iniziale e finale, in cui fa galleggiare nell'aria una lampadina illuminata. L'ossessione del ragazzo a esercitarsi nei trucchi di magia nel chiuso della sua stanza è simbolo del desiderio in cui spesso gli uomini tendono a chiudersi per sfuggire alla disillusione che, prima o poi, raggiunge chiunque nella vita. Le aspettative tradite e la mancata accettazione di tale condizione mette i personaggi l'uno contro l'altro.
Allen mostra ancora una volta versatile abilità nelle commedie di introspezione psicologica ("Interiorss" e "Settembre" ne sono i maggiori esempi), ma in questo caso con più radicale spirito d'osservazione e culto della memoria riconducibili, direi, alle atmosfere domestiche di "Radio day": Pur se in questa vicenda la protagonista è vittima e carnefice: il suo è un fallimento "come donna, come madre e come moglie". L'autore eleva però questo sentimento (la disperazione dei personaggi) ad una dimensione poetica di quasi elegiaca empatia narrativa.
Volitiva, verace, in evidente rodaggio la performance di Mariangela D'Abbraccio che ha sostituito Giuliana De Sio convalescente, dopo un intervento chirurgico. Da cui una lunga querelle tra l'attrice e la produzione (Teatro della Città), che non esclude strascichi giudiziari. Ma questa è (sarebbe) un'altra storia.
Angelo Pizzuto
Se nel Cinema l'attenzione di Woody Allen è rivolta all'onirismo di Fellini, Bergman e in genere alla cultura europea, nel Teatro il suo sguardo è focalizzato al realismo statunitense di casa sua dei vari O'Neil, Williams, Miller, Albee. Prova ne è questa sua pièce del 1981 La lampadina galleggiante (The floating light bulb), da quest'anno rappresentata per la prima volta nel nostro Paese con la regia di Armando Pugliese e in scena con successo al Vittorio Emanuele sino a domenica. Al centro del plot, ambientato in una degradata periferia di New York del 1945, realizzata in modo discutibile dalla scena di Andrea Taddei (palazzone sul fondo, tre muri di mattoni che delineano interni-esterni con funzione pure da quinte) c'è una famiglia in piena crisi di sopravvivenza. Il padre (Mimmo Mancini) ha un lavoro precario, sogna di vincere alla lotteria e scappare con la sua amichetta (Barbara Giordano). La madre, vero fulcro dell'opera, superbamente resa da una volitiva e incisiva Mariangela D'Abbraccio, ha dovuto rinunciare ai suoi sogni di ballerina, tira avanti con quei pochi dollari che il marito porta a casa e la sua pena, affogata in parte nelle bottiglie che si scola, è vedere i suoi due figli disertare la scuola e bighellonare in casa. Steven (Luca Buccarello) il più piccolo esprime atteggiamenti da bullo. Paul (Emanuele Sgroi) il più grande oltre a balbettare vorrebbe fare il prestigiatore. Ed è proprio su questo personaggio che si concentra il simbolismo del testo, perché è proprio lui che all'inizio e alla fine dello spettacolo fa galleggiare nell'aria una lampadina illuminata. C'è infine un manager da strapazzo con kippah in testa (Fulvio Falzarano) che metterà ancora più in evidenza la frantumazione del "sogno americano", la solitudine, le illusioni, il fallimento delle loro vite.
Gigi Giacobbe
MESSINA (gi.gi.).- Se nel Cinema l'attenzione di Woody Allen è rivolta all'onirismo di Fellini, Bergman e in genere alla cultura europea, nel Teatro il suo sguardo è focalizzato al realismo statunitense di casa sua dei vari O'Neil, Williams, Miller, Albee. Prova ne è questa sua pièce del 1981 La lampadina galleggiante (The floating light bulb), da quest'anno rappresentata per la prima volta nel nostro Paese con la regia di Armando Pugliese e in scena con successo al Vittorio Emanuele sino a domenica. Al centro del plot, ambientato in una degradata periferia di New York del 1945, realizzata in modo discutibile dalla scena di Andrea Taddei (palazzone sul fondo, tre muri di mattoni che delineano interni-esterni con funzione pure da quinte) c'è una famiglia in piena crisi di sopravvivenza. Il padre (Mimmo Mancini) ha un lavoro precario, sogna di vincere alla lotteria e scappare con la sua amichetta (Barbara Giordano). La madre, vero fulcro dell'opera, superbamente resa da una volitiva e incisiva Mariangela D'Abbraccio, ha dovuto rinunciare ai suoi sogni di ballerina, tira avanti con quei pochi dollari che il marito porta a casa e la sua pena, affogata in parte nelle bottiglie che si scola, è vedere i suoi due figli disertare la scuola e bighellonare in casa. Steven (Luca Buccarello) il più piccolo esprime atteggiamenti da bullo. Paul (Emanuele Sgroi) il più grande oltre a balbettare vorrebbe fare il prestigiatore. Ed è proprio su questo personaggio che si concentra il simbolismo del testo, perché è proprio lui che all'inizio e alla fine dello spettacolo fa galleggiare nell'aria una lampadina illuminata. C'è infine un manager da strapazzo con kippah in testa (Fulvio Falzarano) che metterà ancora più in evidenza la frantumazione del "sogno americano", la solitudine, le illusioni, il fallimento delle loro vite
Gigi Giacobbe