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IL MALATO IMMAGINARIO – regia Guglielmo Ferro

"Il malato immaginario", regia Guglielmo Ferro "Il malato immaginario", regia Guglielmo Ferro

Di Molière
Compagnia Moliere La Contrada Teatro Stabile di Trieste presentano
Emilio Solfrizzi
Con: Lisa Galantini, Antonella Piccolo, Sergio Basile, Viviana Altieri, Cristiano Dessi, Cecilia D’Amico, Luca Massaro.
E con: Rosario Coppolino
Costumi: Santuzza Calì
Scenografie: Fabiana Di Marco
Musiche: Massimiliano Pace
Adattamento e regia: Guglielmo Ferro
Roma – Teatro Quirino Vittorio Gassman da 6 al 11 Dicembre 2022
Stagione 2022/2023

www.Sipario.it, 8 dicembre

È risaputo che bellezza e comicità non sono valori estetici assoluti. Essi incarnano ed esprimono una certa tendenza di gusto strettamente legata a un certo modo di percepire la realtà. È quindi difficile, oggi come oggi convivendo con canoni diversi rispetti al passato, apprezzare e intendere come bello qualcosa che non corrisponde al nostro modo di vivere e di essere. Allo stesso modo, è difficilissimo – se non impossibile – ridere delle stesse cose di cui si rideva decenni o secoli fa. Qualcuno potrà obiettare che vedendo una comica di Charlot o di Laurel e Hardy ancora ci si diverte. Ma queste due – e stesso discorso potrebbe farsi per Keaton – sono eccezioni che confermano una regola: si ride e si percepisce la comicità in modi sempre diversi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto.
Ecco perché Il malato immaginario come impostato e adattato per le scene da Guglielmo Ferro, con un bravissimo Emilio Solfrizzi nei panni dell’ipocondriaco Argante, è da lodare: perché oltre ad offrirci una versione fresca ed agile di questo capolavoro di Molière, ha rinnovato i meccanismi comici della commedia senza stravolgerne la sua classicità.
L’immagine, la metafora su cui tutto ruota è la centralità: Argante certamente. Ma anche la casa, le stanze di questa abitazione che scenograficamente sono rappresentate da una specie di grande libreria-scaffale che si erge al centro del palco e si staglia verso l’alto, e della quale non vediamo la fine. In questa specie di grande centro, vediamo le varie peripezie del malato immaginario che pian piano si dipanano fino a fargli raggiungere la consapevolezza di essere, in realtà, un uomo sano senza problemi di salute. Ma dal momento in cui se ne rende conto, rimane da solo. Argante scopre d’essere in buona salute ma realizza anche di essere un uomo ignorato, indifferente agli occhi di tutti.
Ferro nella sua regia ha fatto attenzione a sfrondare dal testo originale aspetti che, oggi, sarebbero potuti apparire caricaturali ed eccessivamente farseschi. Stessa operazione l’ha fatta per la recitazione, il cui stile è molto moderno, naturale, distante anni luce da un genere smaccatamente simile alla commedia dell’arte con cui, a lungo, il Malato è stato rappresentato – il primo esempio cui viene da pensare è la riduzione fatta da Peppino De Filippo.
In tal senso è stato bravissimo Emilio Solfrizzi. Il suo Argante è stato comico e divertentissimo con grande naturalezza. A battute e situazioni il pubblico del Quirino ha riso perché le vicende del personaggio molieriano apparivano verosimili, e ne scorgeva somiglianze in chissà quanti episodi. Chi non è caduto preda d’una fobia legata a vicende di salute che poi non si sono dimostrate così gravi? Chi non ha idolatrato la scienza medica, bandendo da sé ogni ragione?
Questo il segreto della qualità dell’interpretazione di Solfrizzi: la verosimiglianza del suo personaggio. Egli ha tolto ad Argante il suo essere maschera e lo ha trasformato in individuo.
Un vero tocco di classe.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Giovedì, 08 Dicembre 2022 09:28

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