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UN MENU STRAORDINARIO – regia Stefania Pecora

Chiara Trimarchi e Orazio Berenato in "Un menu straordinario", regia Stefania Pecora Chiara Trimarchi e Orazio Berenato in "Un menu straordinario", regia Stefania Pecora

(liberamente tratto da Arcicoso di Robert Pinget)
Regia di Stefania Pecora
Interpreti: Orazio Berenato, Chiara Trimarchi
Aiuto regia: Elvira Pecora
Cosumi e scenografia: Stefania Pecora
Produzione: Teatro dei Naviganti di Messina 17-18 dicembre 2022

www.Sipario.it, 19 dicembre 2022

Ritorniamo a scrivere sul Teatro dei Naviganti, il piccolo spazio alla periferia Sud di Messina attivo da oltre 20 anni, diretto con passione da Maria Pia Rizzo, frequentato da giovani con i capelli neri e che propone lavori teatrali contemporanei che interessano a chi scrive, come questo Un menu straordinario, messo in scena da Stefania Pecora che opportunamente fa risaltare i lati assurdi, surreali e grotteschi dell’originario testo che s’intitola Architruc (Arcicoso in italiano) del drammaturgo svizzero Robert Pinget scomparso nel 1997 e del quale ho un ottimo ricordo sin da quando il Festival d’Avignone gli ha dedicato ampio spazio, allestendo sei suoi lavori ( il più noto era l’Hypothèse) nell’edizione del 1987. Nelle sue pièces l’immaginario e il quotidiano, la fantasia e la banalità si mescolano in un universo che esiste solo nelle parole. «Al di fuori di ciò che è scritto – amava dire - vi è solo la morte». La piccola scena agghindata con pochi elementi dalla stessa regista (due sedie, un separé, un piccolo specchio al muro e una pianta che scende dall’alto che si chiama Figlina) accoglie all’inizio al ritmo di valzer della Traviata una regina (nell’originale è un re) e il suo Primo Ministro Baga (rispettivamente Chiara Trimarchi e Orazio Berenato) sempre pronti a litigare per qualunque quisquilia: un modo tuttavia per andare avanti e allontanare per pochi attimi la noia che avvolge la donna, dedita soltanto a mettere un po’ d’acqua a quella piantina. Si chiama noia infatti la sua malattia e a poco servono i travestimenti del suo Primo Ministro per farle tornare il sorriso e farle vedere la realtà in un modo nuovo e diverso. Prima appare nei panni d’un cavaliere simile ad un Cirano de Bergerac con fioretto di plastica bianca in mano, poi si maschera da gran dama tipo quelle dipinte da Giovanni Boldini sbucate fuori dalla Belle Epoque, forse per smuovere, senza successo, sopite libido, poi apparirà vestito da giudice con tanto di toga nera e rotolo di carta igienica al collo usato come bavero. Niente da fare. Ogni travestimento sarà inutile. Anche quando lui le fa prendere la decisione di partire il giorno dopo e lei va in tilt perché non sa cosa fare nelle ore che mancano alla partenza. Lo sforzo di quel Primo Ministro è di dare alla sua regina un’esistenza normale, ma il giuoco dei ruoli risulta vano e ogni tentativo di eludere la realtà è destinato al fallimento e i due personaggi non potranno fare a meno di fingere fino alla fine, trascinando nella finzione anche l’arrivo della morte, quella vera, l’eterna nemica con la faccia da teschio, oltremodo gigantesca e avvolta da un ampio abito nero. Sono evidenti le affinità con il teatro dell’assurdo, da Godot a Finale di Partita di Beckett e in particolare con la Cantatrice calva di Ionesco, colei che secondo la signora Smith “si pettina sempre allo stesso modo”, che fa il paio con questo atto unico di 50 minuti dove il cuoco (assente) preparerà “un menu straordinario”.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Giovedì, 22 Dicembre 2022 09:08

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