di William Shakespeare traduzione: Patrizia Cavalli
con Salvatore Caruso, Arturo Cirillo, Michelangelo Dalisi, Rosario Giglio, Danilo Nigrelli, Monica Piseddu, Luciano Saltarelli, Sabrina Scuccimarra
scene: Dario Gessati
costumi: Gianluca Falaschi, musica: Francesco De Melis, luci: Pasquale Mari, assistente alla regia: Tonio De Nitto
regia: Arturo Cirillo
Roma, Teatro Eliseo, dal 12 al 24 gennaio 2010
Cremona, Teatro Ponchielli, 26-27 gennaio 2010
Un Otello che si segue parola dopo parola, che si divora minuto dopo minuto, che appassiona, commuove, coinvolge e inquieta, un Otello prigioniero fra due pareti, che lasciano fuori il mondo e definiscono lo spazio claustrofobico, costringente di una passione malata, di una gelosia che monta pian piano e segnano una via di fuga nera come la notte, avvolgente come la morte. Questo è lo splendente Otello di Arturo Cirillo, nella intensa, poetica traduzione di Patrizia Cavalli, un Otello raccontato da Jago, forse inventato da Jago che è assoluto protagonista della vicenda, burattinaio e regista di quanto accade sull'isola di Cipro, ma soprattutto nell'anima sua e del moro. Il nemico che Otello combatte non è il turco, non sono gli ottomani, ma è la malattia della sua mente, è la gelosia che il perfido e meschino Jago instilla nella sua testa. In un tempo non definito, in una notte perenne, la tragedia di Otello si compie nel chiuso della mente, fra le pareti ideate da Dario Gessati e che non a caso vengono mosse da Otello (Danilo Nigrelli), Jago (Arturo Cirillo) e Roderigo (Luciano Saltarelli), motore primo dell'azione, colui che aspira a Desdemona (Monica Piseddu) e che la vorrebbe sua grazie ai 'buoni' uffici di Jago. L'effetto della messinscena è coinvolgente, si partecipa a ciò che accade in scena con un trasporto verginale, lo stesso che si ha per certi film di cui non si conosce il finale. Eppure di Otello si sa tutto, o quasi, sicuramente si sa della gelosia, del fazzoletto, dell'epilogo tragico che qui è reso in una profferta un po' spudorata dei corpi di Desdemona ed Emilia sul letto-patibolo della follia e della gelosia. Ma ciò che non si sa, e ce lo suggerisce il regista è che Jago non ha nulla di geniale, ma le sue macchinazioni sono frutto della meschinità, che a loro modo Otello, un carnale e irruento Danilo Nigrelli e Desdemona, un'esile forse troppo Monica Piseddu sono dei puri, ma sta nella loro innocenza la colpa che li porterà a soccombere. In tutto ciò a sovrastare è Jago, intorno a cui ruota tutto, un ruolo che Arturo Cirillo tiene tutto per sé e che finisce col far perdere di consistenza drammatica agli altri personaggi, ridotti a pure apparizioni, pure invenzioni fantasmatiche della mente del perfido e meschino Jago, un uomo piccolo piccolo, un meschino che sa giocare con le parole, che spia e fa illazioni, che pesca nel torbido. Fantastica è la postura di sghimbescio che assume Cirillo, perfette sono le pause di una recitazione nervosa, pungente, ironica e controllatissima. L'Otello di Danilo Nigrelli con quel suo trucco che scolora e più da moro si fa cristiano, più da uomo libero si fa schiavo di Jago, è fisicità del dire e del fare, rabbia e drammatica incoscienza. Monica Piseddu è femminilità indifesa, nel suo essere esile e innocente (forse troppo), ma non priva della consapevolezza di potersi fidare del suo Moro, per il quale ha disconosciuto il suo mondo e a causa del quale morrà. Cassio di Michelangelo Dailisi è asciutto, diretto, leale, corretto funzionario e poco di più. Elvira, la moglie di Iago, ha in Sabrina Scuccimarra un'interprete che dà prova di attrice di razza che nella scena in cui Otello si scaglia contro Desdemona, nel suo essere accovacciata dietro la parete possiede una forza commovente. Ma è tutta la compagnia di Arturo Cirillo, oltre ai già citati: Salvatore Caruso e Rosario Giglio a regalare un Otello coerente nel suo farsi ombra di Jago, proiezione mitica delle meschinerie di un uomo senza qualità.
Nicola Arrigoni
Chissà se a Shakespeare è dato, per concessione 'superiore', di assistere, non veduto, a tutte le rappresentazioni delle sue opere. Ce lo siamo immaginato accanto all'Eliseo di Roma, compiaciuto per l'ennesimo Otello messo in scena da Arturo Cirillo. Il quale ha lavorato sulla dimensione claustrofobica che incombe nell'intreccio fra Otello, Iago e Desdemona. Tutt'altro dall'ambientazione sontuosa, a Venezia e a Cipro, di un Rinascimento non essenziale. Lo spazio scenico, disegnato da Dario Gessati, è in penombra e due muri mobili e ruvidi bastano per segnare gli spostamenti dell'azione, in un look dei personaggi esotico, coloniale, di Gianluca Falaschi. La regia evita anche l'accento sulla negritudine di Otello che ha prevalso negli ultimi tempi, forse in omaggio all'attualità sociale. Qui veramente «la parola diventa destino», come disse già Agostino Lombardo. Iago, impersonato egregiamente dallo stesso Cirillo, conduce il gioco, come sappiamo, raccontando e macchinando, talora ritraendosi ad arte, per far scoppiare la gelosia e distruggere il moro che egli 'odia'. E nelle sue elucubrazioni velenose si rivolge a noi pubblico come a cercare complicità, ambiguo e obliquo persino nella postura; protagonista più che 'spalla', ha nell'Otello interpretato ottimamente da Danilo Nigrelli, un facile bersaglio, più che furioso, umiliato, offeso, annichilito. Il regista, formatosi alla scuola analitica di Carlo Cecchi, ha ottenuto da Patrizia Cavalli una nuova traduzione che snellisce il testo, assai funzionale però ai ritmi della recitazione, raffinata nel rifare la metrica classica, eppure fedele all'afflato tragico di Shakespeare in cui persino il comico si armonizza al tutto. Dopo Roma, la Compagnia prosegue la tournée al nord.
Toni Colotta