di Anat Gov
Traduzione e adattamento di Enrico Luttman e Pino Tiemo
Regia di Nicola Pistoia
Con Viviana Toniolo, Vittorio Viviani e Roberto Albin
al Teatro Litta di Milano dal 21 maggio al 2 giugno 2013
Genova, Teatro Duse dal 21 al 26 gennaio 2014
Ho deciso di andare a vedere lo spettacolo Oh Dio mio! perché incuriosita dalla drammaturgia firmata dall'israeliana Anat Gov. Sulla carta si presenta come un atto unico dalla premessa originale: l'autrice mette sul lettino dello psicanalista niente meno che Dio in persona. Un incipit brillante che presuppone uno svolgimento surreale e denso di nodi drammatici proposti in chiave ironica: dalla messa in discussione dell'esistenza stessa di Dio, alla responsabilità divina rispetto alle tragedie umane; dall'imperscrutabilità del suo disegno, al tentativo di umanizzarlo attribuendogli dubbi, sensi di colpa e incapacità di gestire il potere.
Nella messinscena della compagnia Attori & Tecnici, che ha debuttato circa tre anni fa, l'ironia che tesse i dialoghi tra la psicologa Ella (Viviana Toniolo) e Dio (Vittorio Viviani) perde ritmo e intensità. L'interpretazione affettata dei due protagonisti mortifica la leggerezza della drammaturgia: l'impressione è quella di vedere due attori da vecchia commedia italiana dentro un film di Woody Allen. Entrambi temporeggiano su battute nate per scivolare via veloci; la voce di Toniolo si strozza per cercare di finire la battuta; Viviani sporca l'eleganza del suo personaggio con una gestualità sopra le righe e marcando in modo didascalico ogni finale di battuta.
Trascurabile, ma da copione, la presenza di Roberto Albin, interprete del figlio autistico della psicologa che si esprime suonando la viola. La stessa Gov dà vita a questo personaggio solo in funzione della redenzione finale della madre con una scena "telefonata" fin da metà rappresentazione. Il cinismo e i dubbi che caratterizzano gli interventi della psicologa all'inizio della pièce si ammorbidiscono fino a cedere, in modo piuttosto arbitrario, a sentimenti di fede e di speranza. Lo spettatore rimane intrappolato per un'ora e mezza tra un racconto ricco di avvenimenti e privo di pause ed una messinscena monotona al limite della noia. Poco risate in platea e applausi freddi sul sipario.
Marianna Norese
Commedia brillante o dramma profondo, stemperato da esilaranti battute?
Ella metaforicamente "quercia" è l'interprete del disagio dell'essere umano di fronte a Dio.
La rivisitazione del testo di Gov è costituita da un fitto dialogo che si sviluppa tra Elle e un immaginario dio-spia, e sullo sfondo un figlio autistico.
Il dialogo è strutturato in tre momenti simmetrici, il primo che possiamo definire di rivelazione, il secondo di rivisitazione, conflittualità e presa di coscienza e quello conclusivo di rielaborazione di un rinnovato patto.
Ella inizialmente comprensibilmente folgorata dall'inaspettato incontro è dominata da un indiscusso sentimento di timore dal quale sembra rimanere travolta, oppressa infatti dalle rimostranze di questo dio-spia che sente il peso di un'umanità che ha disatteso le sue aspettative.
Ma sospinto da Elle rivisita i giorni della creazione, il cui frutto è un uomo querulo, mai contento abbastanza, né di sé, né del creato di fronte al quale esprime indifferenza e devastazione e per il dio-spia la tentazione di reiterare il diluvio in virtù della suo potere si fa strada, ma questo percorso che annienta non convince Elle ed è proprio da questa prospettiva che nasce il capovolgimento di ruolo e di rotta ed allora Elle psicanalista di razza si riappropria del suo ruolo, scompone e ricompone l'identità di questo dio sui generis attraverso alcuni dei momenti e dei personaggi emblematici biblici: diluvio, Caino, Giobbe.
I perché si accavallano, e a dispetto dei dogmatismi di rito, ci consegnano un'umanità implacabile, specchio forse di una certa implacabilità di chi l'ha concepita.
Ma campeggia su tutto un dio-spia che a questa umanità implacabile non esita a chiedere risposte d'amore, ed è Elle a soddisfare questo radicato bisogno che, se ha dato l'avvio all'umanità, deve pur permanere.
Ed è un gesto di tenerezza che miracolosamente cancella la disillusione di questo dio-spia di fronte all'umanità e la mela simbolo di un patto tradito sta in una delle scene conclusive a rappresentare l'emblema di un nuovo patto tra Dio e l'uomo suggellato da una rinnovata tenerezza di cui forse anche il figlio miracolosamente risanato è il frutto.
Intensa, suadente, incisiva l'interpretazione di Viviana Toniolo, Vittorio Viviani e e Roberto Albin.
Emilia Ricotti