(Heldenplatz)
di Thomas Bernhard
Traduzione di Roberto Menin
Regia di Roberto Andò
Interpreti: Renato Carpentieri nel ruolo di ?????? ????????
Imma Villa in quello della ??????? ??????
Betti Pedrazzi è la ??????? ????????
Silvia Ajelli è ????
Paolo Cresta ?????
Francesca Cutolo ????
Stefano Jotti il ?????? ????????
Valeria Luchetti ?????
Vincenzo Pasquariello il ????????
Enzo Salomone il ????????? ??????
Scene e luci: Gianni Carluccio. Costumi: Daniela Cernigliaro
Suono: Hubert Westkemper. Aiuto regia: Luca Bargagna.
Produzione: Teatro di Napoli - Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Fondazione Teatro della Toscana – Teatro Nazionale.
22 gennaio 2021 h. 21,15. Canale 23 Rai 5.
Piazza degli eroi di Thomas Bernhard doveva andare in scena il 2 dicembre dell’anno scorso al Teatro Mercadante di Napoli con la regia di Roberto Andò che ne è pure il direttore artistico. A causa poi del coronavirus sempre più invadente lo spettacolo è saltato ed è stato possibile vederlo in streaming la sera del 23 gennaio sul canale 23 di Rai5. Trattasi dell’ultimo lavoro del prolifico scrittore e drammaturgo austriaco, scomparso nel 1989 un anno dopo aver scritto questo testo, ambientato al terzo piano d’un appartamento che s’affaccia sulla centralissima Piazza degli eroi, luogo in cui 50 anni prima (il 15 marzo 1938) tra sventolii di svastiche e bandiere nere aveva visto Hitler annunciare alla folla plaudente l’Anschluss, ovvero l’annessione dell’Austria alla Germania. Quando inizia lo spettacolo i funerali del professore Josef Schuster si sono conclusi e sulla scena di Gianni Carluccio, sue pure le luci che sagomano un salone borghese con due finestroni frontali e due laterali, occupato da una sfilza di valigie e bagagli con su scritto Oxford, e uno spazio libero sino al proscenio con tantissime paia di scarpe, invero qui ricorrenti (anche per ricordare che Bernard ne aveva più di cento paia, in bella vista adesso in un museo a Vienna a lui dedicato), discutono animatamente la domestica Herta di Valeria Luchetti e la governante del defunto, la signora Zittel di Imma Villa, rievocando la prima a parole e gesti, mentre stira biancheria, l’ossessione maniacale del professore per come voleva fossero ripiegate le sue camicie, verificando di persona pure la chiusura delle finestre. Conosciamo così la “mente matematica filosofica” del defunto, la sua pignoleria, la sua precisione in tutto, una figura d’intellettuale ebreo fuori dal comune costretto nel 1938 a fuggire in Inghilterra per non finire con la sua famiglia in un campo di concentramento e rientrato poi in patria negli anni ’50 per riprendere la sua cattedra di matematica su invito del sindaco di Vienna. Un’esistenza sempre più insopportabile quella del professore, anche per la sensibile moglie Hedwig, con la passione del Teatro (un nome che ricorda quello di Edwige Hofbauer Stavianicek colei che Berhnard definiva “la persona della sua vita”, 37 anni più anziana di lui, morta nel 1984 a 90 anni, cinque anni prima della morte del drammaturgo) che sentiva continuamente salire dalla piazza, dopo ancora tanti anni, le grida di quella fanatica folla che inneggiava al Führer. Motivo questo, ma non solo, da indurre il professore a vendere l’appartamento ad un uomo d’affari persiano che vive a Istambul e tentare di ritornare ad Oxford, purtroppo senza riuscirci, perché all’ultimo momento decide di chiudere la partita con la vita e con la patria buttandosi giù sulla piazza del titolo da uno di quei finestroni del salone di casa. Un breve refrain d’una sonata di Beethoven eseguita al piano da Vincenzo Pasquariello, che nell’arco dei 140 minuti dello spettacolo sarà una sorta di servo muto o d’un fool, che romperà il silenzio con le sue brevi esecuzioni, scandisce l’inizio della seconda scena o secondo tempo in cui appaiono in uno spoglio giardino pieno di foglie secche, due panche e una sfilza di nudi tronchi appesi in alto intorno alla scena, Anna e Olga ( Silvia Ajelli e Francesca Cutolo) figlie del professore Schuster che chiacchierano sugli affari di famiglia e sul carattere conservatore degli austriaci, in attesa d’incontrare lo zio Robert Schuster, fratello del suicida, impersonato da un Renato Carpentieri ispirato deambulante attaccato a due bastoni. Esprimendosi all’inizio come un caro e affettuoso zio che alla sua età non ha interesse per niente e nessuno, non arrabbiandosi e protestando neppure se una nuova strada attraverserà il giardino di casa sua a Neuhaus, un piccolo borgo fuori Vienna, infervorandosi più avanti quando afferma che in Austria essere ebreo significa sempre esser condannato a morte e che negli ultimi cinquant’anni quelli che governano hanno distrutto ogni cosa con la loro ottusità, compresi gli architetti, gli intellettuali, il popolo tutto, i partiti e la chiesa. Per lui i viennesi sono dei minorenni cui gli è rimasto solo il Teatro, reclamando un regista che possa spingerli definitivamente giù nel baratro. “Neanche buttarsi da una finestra è una soluzione – dice rivolgendosi ad Anna e Olga – anche se per quel che riguarda vostro padre è stato un gesto coerente”. Nei suoi modi e nel suo dire sembra di sentire la voce di tutti coloro che oggi in Europa sono insoddisfatti dei politici che li governano. Per lui i socialisti di oggi (certamente riferito all’anno in cui il lavoro è stato scritto e messo in scena la prima volta al Burghtheater di Vienna, 4 novembre 1988, scatenando violentissime polemiche e contestazioni), hanno resuscitato in Austria il nazionalsocialismo e i viennesi sono i becchini e i criminali di questo stato: uno stato diventato una puzzolente cloaca, con un presidente della repubblica borghesuccio furbo e falso, un presidente del consiglio scaltro e maneggione e con un papa che offre nei suoi appartamenti un pasto caldo ai senzatetto divulgando il fatto ad un mondo diventato cinico. Non sfuggono i capi dei sindacati che giocano coi miliardi nelle loro lussuose ville, gli scrittori dalla pancia piena che leggono i loro testi nelle carceri come fossero opere d’arte. Il professore suicida amava gli scrittori russi compresa la loro musica, non i francesi e gli inglesi, ma a lui, Robert Schuster professore di filosofia molto vicino alla figura di Ludwig Wittgwnstein, non interessa più né la letteratura né la musica e la morte del fratello gli dà quasi conforto, non avvertendo niente di lugubre, come se il non essere più è l’aver raggiunto la meta. Del resto per lui la vita non è altro che un continuo sommare dolore e la chiesa, non solo cattolica, dà in affitto a ciascuno il suo buon dio, non solo per 99 anni ma vita natural durante. Non sempre è possibile rifugiarsi tutta la vita in Kleist, in Goethe, in Kafka, nella poesia o nella musica…ad un certo punto non funziona più e allora in certi frangenti non rimane che il suicidio. La terza scena si svolge nello stesso luogo della prima dove in bella vista al centro troneggia una tavola imbandita e sono presenti alcuni colleghi del defunto venuti in visita ai parenti, invitati pure a rimanere per cena, il professor Liebig (Enzo Salomone) e il signor Landauer (Stefano Jotti) in attesa che giunga Lukas (Paolo Cresta) e Hedwig detta Frau Professor (Betti Pedrazzi), rispettivamente figlio e moglie del defunto. Una serata di chiacchiere e di tanti bla-bla in cui ricompaiono la domestica Herta e la signora Zittel a servire a tavola e il cui finale drammatico, in cui si odono voci assordanti e grida di masse di nazisti inneggianti al Führer che s’intensificano fino al limite del sopportabile (suoni a cura di Hubert Westkemper), vedrà la Frau Professor lanciare dalla bocca spalancatissima un grido silenzioso che al confronto quello di Munch è solo un urletto, cadendo con la faccia in avanti sul piatto di minestra. Roberto Andò di cui sinora non ho detto niente aveva già trattato la materia berhardiana in modo eccellente curando la regia di Minetti ritratto di un artista da vecchio con un grande Roberto Herlitzka. Adesso sempre col suo stile unico, che poi significa curare tutti particolari dello spettacolo, ha aggiunto il piacere di essere colui che per primo in Italia ha messo in scena Piazza degli eroi con un superlativo Renato Carpentieri nei panni del professor Roberto Schuster, avendo a disposizione un cast all’altezza e un testo che è una sorta di testamento provocatorio e spirituale di Bernhard, un implacabile e profetico atto d’accusa contro l’ondata montante di razzismi, populismi e sovranismi e intolleranze varie.
Gigi Giacobbe