Di autori vari (P. Bowles, A.Gatto, G.A. Cibotto, D. Thomas, A. Merini, P. Hoeg, P, Neruda, M.Gualtieri, S.C.Perroni)
con Anna Safroncik, Fabio Sartor, Matteo Cremon, Anna Zago e con Giancarlo Marinelli
multivisioni Francesco Lopergolo
musiche B. Lauzi, R. Sakamoto, L. Dalla, A. Korzeniovski
regia Giancarlo Marinelli
Serata-evento per la riapertura del Teatro Comunale di Vicenza
Vicenza, Teatro Comunale, 26 aprile 2021
Partendo dal titolo di una poesia di Giuseppe Ungaretti inneggiante all’amore, a un attesissimo ritorno fatto di scambio profondo, passione, “Per sempre ti rivedo” è andato in scena a Vicenza fortemente simbolico nel primo giorno di apertura (anche dei teatri) decretato dal Governo, nella sempre delicata fase di questi giorni di pandemia. Lo spettacolo parte con un’introduzione vertiginosa e incredibilmente avvolgente, quella delle multivisioni curate da Francesco Lopergolo, vero mago del settore, che anche stavolta è riuscito nell’intento dolce di introdurre lo spettatore in un mondo che rapiva, di scontro tra bellezza e durezza, di gabbie e uomini rinchiusi in esse, corpi che fluttuavano in balìa dell’irrazionale, alberi, rami, di caratteri scritti a macchina, e ancora particelle di pioggia, fiori, danzatrici. Tutto questo per introdurre il pubblico accorso numeroso fino al limite massimo della capienza permesso, in uno spettacolo tutto da scoprire già all’inizio, che si è rivelato un adrenalinico appuntamento in crescendo , forte di una messa in scena potente creata e diretta da Giancarlo Marinelli, per l’occasione anche narratore. Con la sua voce roca, strabiliante, il regista ha intervallato i vari quadri che i quattro bravi attori in scena hanno interpretato o letto. Una rinascita, insomma, che è partita proprio da Marinelli e dalla lettura di un brano tratto da “Il thè nel deserto” di Bowles, soffermandosi anche su quante volte in questo anno e più abbiamo dovuto tutti rinunciare ai nostri gesti, quelli più belli soprattutto. Un’introduzione, certo, che ha aperto di fatto del tutto la porta ad altre riflessioni, a quell’amore che ognuno di noi oggi forse a breve potrà finalmente esternare, e che sia ora il momento giusto, e arrivato davvero è un augurio di tutti per tutti. Poi, “La stanza” di Alfonso Gatto, al quale un Matteo Cremon in vivace forma ha dato il contributo giusto, omaggiante, e uno scritto di Gian Antonio Cibotto che una rispettosa Anna Zago ha declamato con accademico intercalare sentito e sofferto. A ruota si son avvicendati gli altri due interpreti, dapprima Fabio Sartor in un’ineccepibile, entusiasmante “La morte non avrà più dominio” di Dylan Thomas, un inno alla vita, alla resistenza, all’uomo che dovrebbe essere in tutti noi, a cui ha fatto seguire il dolce “Gli occhi di Milva”, di Alda Merini, un bell’omaggio della poetessa milanese alla nota cantante venuta a mancare pochi giorni fa, un invito a non dimenticare gli artisti, e comunque nessuno, e a tener sempre viva la memoria. E’ stata invece subito dopo Anna Safroncik a dare voce, altro simbolismo significativo, anche simbiotico, a “La bambina silenziosa” di Peter Hoeg, con una certa eleganza misteriosa, prima dell’avvio della serata verso la parte finale, con gli attori che sono ritornati sul palco con “Il bacio” di Pablo Neruda (Cremon), “Mio vero” di Mariangela Gualtieri recitata dalla Zago, mentre ancora Sartor in punta di fioretto e la Safroncik hanno terminato con “Traiettoria di te” di Sergio Claudio Perroni. A questo punto è difficile non rasentare la retorica, perché il teatro in quell’istante vibrava già intensamente e l’emozione era incontenibile, scrosciante. Giancarlo Marinelli ha usato, per chiudere , le frecce che da sempre ha a sua disposizione, e con grande forza, grandi chiamate ha portato sul palco tutti i collaboratori del teatro di Vicenza, uno a uno, in tutte le loro funzioni, scanditi per nome. Un finale a sorpresa di grandissimo effetto emotivo, che nulla può togliere. E’ rinato il teatro, è ritornato. E i teatranti, i tecnici, il personale tutto in un grande abbraccio si sono rivolti allo spettatore attraverso le parole alte e potentissime del regista: “non vi lasceremo più”.
Francesco Bettin