di Henrik Ibsen
musiche di Edvard Grieg
con (in o.a.) Roberto Abbati, Valentina Banci, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Davide Gagliardini,
Michele Lisi, Carlotta Mangione, Andrea Mattei, Elisabetta Mazzullo,
Ilaria Mustardino, Luca Nucera, Chiara Sarcona, Massimiliano Sbarsi, Francesca Tripaldi, Pavel Zelinskiy
orchestra LaFil – Filarmonica di Milano
scene e luci Angelo Linzalata
costumi Giada Masi
movimenti scenici Riccardo Micheletti
assistente alla regia Giorgio Pesenti
regia Daniele Abbado
direttore Marco Seco
produzione Fondazione Teatro Due, in collaborazione con LaFil – Filarmonica di Milano, Reggio Parma Festival 2023,
all’Arena Shakespeare, Parma, 20 giugno 2023
C’è nel Peer Gynt di Henrik Ibsen – messo in scena con determinazione e sforzo produttivi dal Teatro Due – qualcosa che trascende lo spettacolo in sé e racconta di una volontà di ricerca che muove da anni lo stabile parmense. Si ha quasi l’impressione – dopo aver assistito allo spettacolo – che la scelta non sia stata libera, ma costretta dalla coerenza con cui l’ensemble frequenta il legame fra teatro drammatico e musica, desideroso di muoversi in quel terreno in cui parola e pentagramma coesistono senza alcuna subalternità, ma in un equilibrio fatto di autonomia e di dipendenza al tempo stesso. È quanto accade in questo Peer Gynt che vede agire nel grande spazio scenico dell’Arena Shakespeare la compagna del Teatro Due con protagonista e, in fondo, guest star Pavel Zelinsky, impegnato a dare con misura il giusto tocco nordico al Peter Pan inventato da Henrik Ibsen, prestito folclorico norvegese che l’autore di Casa di bambola compone nel cuore del Mediterraneo, nel Sud Italia, fra Roma e Sorrento. La scelta del regista Daniele Abbado è stata quella di spogliare la vicenda dei connotati folclorici che la caratterizzano. Il tentativo è quello di rendere contemporanea la figura e l’odissea tragica di Peer Gynt, «visionario creatore di mondi immaginari, adolescente con pulsioni di indipendenza e di onnipotenza» - scrive Abbado nelle note di sala -, ma al tempo stesso impegnato a combattere un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione che lo rende uno spirito inquieto e sempre in movimento, un eterno adolescente in cui gli opposti coesistono, la fame di vita e di amore con il dolore e la fascinazione dell’abisso. Da qui forse il gioco scenico di creare un continuo movimento che porta gli attori a correre ininterrottamente, muoversi in maniera nervosa e grottesca cercando di riempire il grande spazio scenico, calcando il praticabile che circonda il golfo mistico in cui trova spazio la Filarmonica di Milano, diretta da Marco Seco. I costumi di Giada Masi fanno dei personaggi dei caratteri e delle maschere, delle creature che sembrano appartenere a certa iconografia espressionista. In tutto questo Peer Gynt conferma la sua natura inafferrabile e con esso l’aspetto poco interessante degli accadimenti, perché tutto è sbilanciato o meglio centrato su ciò che prova Peer Gynt, il suo struggersi d’amore e di dolore. In tutto questo la straordinaria partitura di Edvard Grieg accompagna, interviene come commento, come colonna sonora alla vicenda, sottolinea i momenti clou, una sorta di anticipazione del ruolo che la musica avrà nel cinema. Forse la Filarmonica di Milano non ha la coesione e la potenza di suono giuste per dare l’adeguata incisività alla partitura, ma tant’è il mix funziona – almeno sull’accaldata ma festosa platea – che si diverte, ride, si compiace delle rocambolesche avventure di un Peer Gynt vitaminico che sfiora la morte e va oltre. Beato lui! Applausi, applausi alla voglia inesausta di Paola Donati di cercare l’equilibrio, il connubio fra le arti, fra musica e parola per instillare quello svelamento dell’inaudito e dell’indicibile che il teatro promette con la scusa della finzione.
Nicola Arrigoni